DODICESIMO EPISODIO

Svoltò all’angolo, togliendo alla vista incredula del capo l’ultima immagine di quello che per una volta era stato lui: lo stronzo. Si sentì alleggerito Gregorio, felice, perché ogni tanto le cose giravano diversamente. Continuò a godersi quelle strade, quella desolazione, quell’aria, che in verità non era mai stata così pulita in città, le poche anime in giro, sembravano tutte appartenenti ad un corpo ospedaliero, con quelle maledette mascherine a contornare visi. Pensò bene di approfittare dei soldi in tasca per approvvigionarsi, andò verso la bottega del Killer, di supermercato per il momento ne aveva abbastanza. Passò per una stradina che costeggiava il fiume, notò sotto il ponte alcune tende da campeggio, sembravano vuote o piene, non si notava la differenza, s’accigliò, sentì che non era il più solo, non era il più emarginato, il più disperato. Si calò per un istante in una visione che non aveva mai avuto, questo non lo faceva sentire migliore, solo più vicino a quelle persone che il confinamento lo vivevano tutta la vita in una pandemia sociale, invisibili oggi, domani e sempre. In effetti per loro il rischio di contagio era minimo, ma senza gente in giro come mangiavano, a chi chiedevano l’elemosina, si sarebbero dati al furto? Provò ad avvicinarsi ad una di quelle tende, ma un cane da dentro prontamente abbaiò e Gregorio per lo spavento stava per cadere in acqua. Proseguì il suo cammino, non abbandonando completamente le ultime riflessioni, avrebbe voluto fare qualcosa per quelle persone, chi, se non lui che rischiava camminando sul filo del rasoio della necessità. Ma come? Questo Greg non lo sapeva, non aveva ancora delle risposte.  Giunse dal Killer, stranamente non c’era fila, bruciò veloce gli ultimi metri e si catapultò dentro con un bel:

«Salve Don Artù»

«Oh Gregoorio, come stai? Da quanto tempo!»

«Eh si, l’ultima volta è stato per il panino e la gazzetta, grazie ancora sor Artù, m’avete veramente sarvato»

«Nun te stà a preoccupà Gregò, se non c’aiutiamo tra di noi è la fine!»

«È vero, ma non tutti a pensano o’ stesso modo, c’è, chi come al solito pensa solo ai cazzi suoi!»

Nel frattempo Gregorio prendeva dagli scaffali che giravano lungo le tre pareti del negozio: pasta, sugo, vino, olio, farina e legumi, fece un po’ di scorta.

«Che te do Gregò!? Tiè senti stò prociutto, senti come è dorce»

« ehh grazie ma ho mangiato»

«senti stò prociutto t’ho detto è dorce!»

«mhhhu»

«È zucchero  a Gregò, lo senti? E stò olive? Tiè senti ste olive, queste so greche, gree-che, e ‘nnamo dai so greche. So bbone? Come sò? Dimme a verità?»

«Greche!»

Gregorio si sentì sopraffatto da tutta quella promozione improvvisa del Killer, che si era inorgoglito per i suoi prodotti.

«Vabbè allora damme er prociutto e le olive e un po’ di sta caciotta che tiene proprio na bella faccia».

«Eccoti servito Gregò, che più?».

«Nient’altro, va bene così, attese il conto, pagò, ringrazio e uscì quasi fuggendo da tutta quell’irruenza promozionale».

Stava per andare a casa, poi ci ripensò e ritornò indietro, si diresse al distributore automatico a prendere del tabacco poi andò verso il fiume, era di nuovo sotto a quel ponte e ancora non c’era anima viva, Greg si chinò,  prese cose dalla sua spesa, scatolame vario, e lo lasciò dinnanzi ad ogni tenda,”se non c’aiutiamo tra di noi è la fine”, disse finendo il lavoro Ora voleva solo tornare a casa, gli era mancata, piccola, disastrata, una cucina occupata dai mobili e una stanza che era un’aiuola scarna, ma pur sempre una casa. Finalmente arrivò, prese le chiavi dalla tasca, le buste rendevano difficili i movimenti, spinse con un piede il portone, da lì a poco si sarebbe tolto quell’odiosa mascherina dal viso, era insopportabile, gli segava le orecchie, gli ributtava l’alito in faccia, scese godendo della frescura che veniva dall’androne, aprì la porta, sbatté come al solito sul frigo, gli era mancato anche quel rumore, fece attenzione a non inciampare nel materiale che per la fretta aveva accatastato nel corridoio, con un colpo di tacco degno di Totti sbatté la porta e si diresse verso la cucina, poggiò tutto sul misero tavolo liberandosi del fardello commestibile, crollò per un istante sul divano, lasciando che lo sguardo si perdesse nella finestra alta.

Prese forza e si rialzò, andò in bagno, si tolse quei vestiti che ormai aveva da giorni, fece una doccia rigenerante e decise di fumarsi una meritata sigaretta in salotto, ma arrivato sulla soglia del salotto/camera da letto/aiuola, rimase a bocca aperta che la sigaretta cadde in terra.

Non era possibile, non venivano parole, né esclamazioni, niente, solo occhi increduli e la testa che scuoteva.

Un albero dal tronco a Y veniva fuori da quel terreno nero, era  nell’angolo in fondo alla stanza, vicino alla finestra, aveva una chioma verde dignitosa e dei frutti che pendevano invitando ad essere colti. Fece alcuni passi, sentì i piedi affondare di poco, avanzò incredulo verso quel prodigio della natura, lo accarezzò quasi a cercare un segno che fosse reale, scosse un ramo, frusciava di foglie, un frutto cadde e fu afferrato a volo, lo mangiò per verificare che fosse buono, lo era, aprì la finestra, avrebbe voluto parlarne con qualcuno, ma niente, anche nella corte era il deserto e lui nell’oasi assurda. Guardò il cielo, non sapeva dove cercare risposte, non capiva, stordito come uscito da una rissa, prese la sigaretta e l’accese tirando una boccata a cui affidò per un istante tutte le perplessità.