Psicoanalisi, spiritualità e religione

“ Ho appena finito un ritiro spirituale sulla mummificazione trascendentale” mi dice una paziente al primo incontro. Avendo frequentato il liceo all’Istituto Maddalena di Canossa, so che cosa è un ritiro spirituale, ma per la mummificazione, le eccellenti suore canossiane della mia adolescenza non erano attrezzate. Come psicanalista non mi occorre molto per capire che la paziente va molto male. L’esperienza di “mummificazione trascendentale” con l’obiettivo di ridurre il corpo al minimo delle sue esigenze fisiologiche, esaltando il potere “spirituale” della mente, l’ha completamente destabilizzata sul piano psichico. Sono abbastanza tollerante nei confronti delle pratiche di diverso genere a sfondo new age, di cui i pazienti mi parlano. Solitamente non vedo inconvenienti gravi alla coabitazione di psicoanalisi e tecniche di meditazioni  alla ricerca di energia, intima o cosmica che essa sia. Ma alla mummificazione ho detto “no”, e ho invitato la signora alla prudenza. C’è voluto un po’ di tempo e molto sostegno perché essa ritrovasse un po’ di equilibrio.
Non possiamo parlare di spiritualità in modo univoco, non sappiamo neppure bene che cosa vogliamo dire quando parliamo di “spirituale” e non è mai chiaro se condividiamo un senso comune di questa parola.  Se poi usiamo il termine “spirito” per riferirci alla dicotomia spirito/corpo, le cose si complicano ancora di più.  Il pensiero è spirituale? La parola, la voce, le idee, sono spirituali? E’ difficile deciderlo.  Nel cuore del vangelo di san Giovanni c’è il Verbo incarnato, cioè la Parola impensabile senza il corpo.
“Spirituale” è usato anche in opposizione a “materiale”, in modo che le cose spirituali sembrano elevarsi al di sopra del dilagante materialismo della nostra epoca.  Ed è forse per questo che la modernità è attraversata da una vasta ondata di bisogno di spiritualità. Le riviste di psicologia, e di scienze umane sono sempre più ricche di proposte in cui questo termine è centrale: meditazione, yoga, chakra, Reiki….. le pratiche si moltiplicano promettendo benessere al corpo e allo spirito.   David Servan Schreiber nel suo libro Guarire scriveva:
“Oggi si parla sempre più di spiritualità, ma non si sa precisamente che cosa sia. Parola-valigia dalla quale si può tirar fuori ciò che ci serve: ascolto ispirato di Sonatine di Schubert, meditazione zen, contemplazione della volta stellata – con variante collettiva in caso di eclissi -, lettura di Krishnamurti, orgasmi simultanei occhi negli occhi, odori d’incenso, canti ritmati …. E per quelli che si sentono isolati, adesione ai testimoni di Jehovah? ”
Il bisogno di spiritualità cresce nel nostro mondo, ma nello stesso tempo si sviluppano i fondamentalismi religiosi con la loro carica di aggressività. Anche i terroristi djihadisti aspirano alla spiritualità mentre seminano morte e bombe nelle discoteche occidentali? Assistiamo oggi a un ritorno della religione? Ma sotto quale forma? La religione torna ad essere come nel passato un’istanza normativa e regolatrice della vita sociale? Non mi sembra che sia questa la direzione presa, almeno non nella cultura occidentale. Negli anni ­Settanta Jacques Lacan già profetizzava il trionfo della religione nel mondo. Ai giornalisti italiani che a una conferenza stampa gli domandavano:
– Lei è persuaso che la religione trionferà?
Lacan rispondeva :
– Sì. E non trionferà soltanto sulla psicoanalisi, essa trionferà su molte altre cose. Non si può neppure immaginare come è potente, la religione.
Il trionfo della religione
Il trionfo della religione secondo Lacan è una risposta agli stravolgimenti prodotti dalla scienza nell’esistenza umana. La scienza, mettendo mano al Reale, non ripara dall’angoscia. Più il mondo è regolato dalle leggi scientifiche che promettono di spiegare tutto e di chiarire cause ed effetti delle azioni umane, più cresce il disagio dei singoli di fronte all’impotenza, all’insuccesso, alla malattia e alla morte.  In questo contesto la religione servirebbe a calmare l’angoscia, ad  “apaiser les coeurs” – dice Lacan –  cioè a tranquillizzarli.
La psicoanalisi al contrario non placa i cuori, ma li risveglia, ed è anche per questo che non pretende di essere una religione. Non porta balsamo sulle ferite, ma spesso le riapre perché il marcio possa uscirne e la ferita possa guarire.
Tuttavia Lacan dialogava con le religioni, e aveva una grande cultura in materia. La sua profezia pessimistica riguardava piuttosto tutte le forme assolutistiche che rivestendo il manto celeste della spiritualità impongono un senso definitivo al Reale della vita, propongono risposte pre-confezionate e prêt-à-porter, risposte falsamente consolatorie o risposte che addormentano. E’ da questo tipo di pseudo-spiritualità e di religiosità-commerciali che la psicanalisi si allontana.   Inoltre non possiamo parlare di “spirito” senza il corpo. Il corpo c’è: ingombra, disobbedisce, si ammala, invecchia, è attraversato da pulsioni che sembrano ben lontane dallo spirituale. Ma il corpo non lo si può ridurre, né addormentare, né mummificare (neppure metaforicamente). Esso insiste, pulsa, parla, pretende attenzione ed è Reale. Il corpo è centrale nell’incontro con gli altri, nell’incontro amoroso, nell’incontro sessuale. Il corpo è impastato di spirito, l’uno non va senza l’altro. Senza il corpo non c’è poesia, non c’è musica, non c’è innamoramento. Religione e spiritualità sono sempre state una grande ricchezza per l’umanità, ma come per tutte le cose quello che conta è l’uso che se ne fa, poiché mai come in questo campo le strumentalizzazioni creano derive pericolose.
La scienza e la religione fanno buon mènage? Anche questo è un punto complesso. Se la ricerca scientifica comincia a guardare la religione come un oggetto di studio quantificabile e misurabile, essa scivola nell’assurdo.
Marco Focchi psicanalista italiano cita una ricerca riportata dall’Herald Tribune del 2005 che se, non fosse sconcertante, potrebbe anche farci ridere. La ricerca si svolge in una clinica del Minnesota e ha come obiettivo quello di misurare il potere di guarigione esercitato dalla preghiera su pazienti che avevano subito un intervento chirurgico.  Ma, e qui sta il punto di distorsione, non si tratta della preghiera dei pazienti stessi, ma della preghiera “intercessoria”, praticata da altri per la loro guarigione.
Scrive Marco Focchi:
“I pazienti studiati sono stati divisi in tre gruppi: per un gruppo non si pregava, per gli altri due sì; uno dei due gruppi per cui si pregava ne veniva informato, l’altro veniva lasciato in situazione dubitativa: ai partecipanti veniva detto che per loro si poteva pregare oppure no. Le preghiere erano affidate a tre diverse congregazioni dove gli oranti erano istruiti a utilizzare il nome e l’iniziale del cognome della persona per cui pregavano – per proteggere la privacy suppongo, tanto Dio dall’iniziale può già capire di chi si tratta – e di includere la frase: ‘Per il successo dell’intervento chirurgico e per una rapida guarigione senza complicanze’. La ricerca su cui si basa lo studio è costata  2.400.000 dollari. ( …) Tentativo di negoziare con il divino attraverso i più aggiornati strumenti scientifici …” .
Non ci interessano i risultati di questa ricerca. E’ la procedura ad essere viziata nella sua impostazione iniziale. Riteniamo che c’è qualcosa nell’umano che non è imbrigliabile nei protocolli della ricerca scientifica: tutto non può rientrare nelle statistiche, nei calcoli e nelle predizioni. Su questo punto, religione e psicoanalisi, sono dalla stessa parte. Ma non sono assimilabili: quindi che lo psicanalista non faccia il prete, e che il prete non faccia lo psicanalista! Nessuna analogia neppure tra psicoanalisi e confessione. Lo psicoanalista non ha il potere, né la missione di perdonare, né di dare assoluzioni.  Per quanto mi riguarda psicanalisi e religione non sono incompatibili. Ciò che invece è distante dalla psicoanalisi sono tutte quelle pratiche che appellandosi allo “spirituale” imbavagliano l’uomo e gli tolgono dignità e soggettività.  Rigettando la magia e la suggestione implicite in queste pratiche pseudo-religiose e pseudo-spirituali, la psicoanalisi punta sul coraggio di ogni soggetto e considera l’inconscio come un sistema logico e non come il calderone ribollente dei più bassi istinti.  Tuttavia già Freud era consapevole del potere attrattivo esercitato dalle offerte “miracolose” e diceva in modo autoironico: “Non credo che i nostri successi terapeutici possano fare concorrenza a quelli di Lourdes” .  I miracoli però non sono così frequenti, ed è preferibile che ciascuno di noi trovi il suo modo personale di “saperci fare” con quanto c’è di “’incurabile” nella condizione umana, utilizzandolo come una risorsa e non come un ostacolo,  senza abdicare alla propria parte di impegno e di coraggio.