Che cos’è che rende infelice il poeta?

La rage, Pier Paolo Pasolini 

di Arianna Caringi

Il carattere immortale della poesia, antica quanto può esserlo la letteratura, riesce a resistere in quanto svolge silenziosamente un compito che nessun’altro dei generi disponibili nelle mani dell’uomo può assumere su di sé: la comprensione, la coscienza, la scelta consapevole. Il poeta è forse, per questo, il primo degli infelici.

Tutta la trasversalità e la complessità di stile, di metodo e di forme, che appartiene all’opera intera di Pasolini, è rilegata all’interno di un sistema poetico che sottende la sua molteplice espressività. Le immagini e i loro significati, la storia e le sue ripercussioni non solo sono frutto di quella poesia, ma possono essere “letti” solo attraverso di essa.

Il primo stadio di creazione di questo libro, è quello della creazione del film-montaggio La rabbia, del 1963. Un “poema filmico”, come è stato definito, in cui una serie di filmati, di fotografie e di immagini pittoriche si srotolano raffigurando (più che raccontando) alcuni degli episodi più salienti della metà del secolo scorso. A ricucire insieme gli spezzoni la voce fuori campo del poeta proclama, lamenta, spiega cosa sta succedendo. Ma mai chiaramente, o meglio: il linguaggio poetico fa luce e fa ombra, risolleva la verità lasciandola intendere. Come in un diario e, a volte, attraverso la satira, l’analisi della società e della politica è l’analisi di un’umanità sul trampolino di un irreversibile cambiamento.

Il lettore che si appresta a sfogliare La Rage dovrebbe dunque dimenticarsi, prima di tutto, che cos’è il libro, che cosa si aspetta da lui, che cosa vuole da lui in cambio. Come leggere, dunque, l’opera? Il libro, tradotto da Patrizia Atzei e Benoît Casas, è la trasposizione di un esperimento filmico che vuole allontanarsi dal cinema tradizionalmente inteso e restituire allo spettatore il ruolo di “lettore”: le nude immagini sfilano per essere “lette”, interpretate. Non sono legate da un filo narrativo coerente ed univoco, ma appaiono come immagini mentali, come il residuo di ciò che una lettura deposita nella nostra mente una volta terminata. La Rage raccoglie queste immagini mentali spogliate dalle immagini reali.

Ci appare a questo punto quanto mai chiaro ciò che Giorgio Agamben ha definito “l’insufficienza delle categorie attraverso le quali la nostra cultura ci ha abituato a pensare lo statuto ontologico del libro e dell’opera.” In particolare, quello che intende affermare qui il filosofo, è che siamo abituati ad accogliere il libro come un prodotto giunto a compimento, a cui sia possibile attribuire la parola “fine”. In realtà, e Pasolini ne è un lampante esempio, l’opera, come inizia in un momento remoto e indefinibile all’interno della mente di un autore, in un momento remoto e indefinibile finisce. Il “prima” e il “dopo” dell’opera sono dunque parte integrante di essa, lo sono gli appunti e gli schizzi che precedono la sua realizzazione, lo sono le sopraddette immagini residue che vengono generate nella mente del lettore.

Ne La rage, la traduzione di un sistema poetico, la restituzione di un’esperienza visiva, compongono una rinnovata lettura nelle sue modalità e esperienze, permettono di lire en levant la tête, cioè di leggere e, di tanto in tanto, soffermarsi a riflettere, catturare nel corso della lettura le immagini che questa ci offre, confrontarsi al testo nel modo che, secondo Roland Barthes, era quello più fruttuoso e profondo.

Il testo si apre appunto con la denuncia dello stato di “normalità”, in cui l’uomo, alleggerito dalla fine della guerra, non si concede ormai più questo sforzo di riflessione:

Que s’est-il passé dans le monde, après la guerre et l’après-guerre ? 

La normalité.

Oui, la normalité. Dans l’état de normalité, on ne regarde pas autour de soi : tout se présente comme « normal », privé de l’excitation et de l’émotion des années d’urgence. L’homme tende à s’assoupir dans sa propre normalité, il oublie de réfléchir sur soi, perd l’habitude de se juger, ne sait plus se demander qui il est.

Il colonialismo, la fame, il razzismo, “la haine qui nait du conformisme”, “la haine pour tout ce qui est diffèrent”, fanno l’infelicità del poeta. La sua voce, che è la voce del silenzio, scuote gli eventi, i personaggi, i movimenti della storia, che tuttavia sfila impassibile (sullo schermo, sulle pagine, nelle nostre menti), facendosi, di volta in volta, esuberanza e rassegnazione, speranza e sconfitta.

Nella sequenza 25, intitolata Crâne et squelette, teschio e scheletro:

Voix du commentaire du conformiste qui refuse, par peur du ridicule, de parler sérieusement… Voix de l’humour stupide, de la peur de la culture… Voix du consentement des puissants à la gaieté des subalternes… Déchaîne-toi ! C’est-à-toi ! La tragédie est conjurée ! Pousse un soupir de soulagement, voix de la quotidienne vulgarité !

Solo la voce del poeta, tuttavia, persiste, continua ad esistere.