Fréderic Cherki

di Francesco Forlani

È davvero difficile presentare con un click una personalità così ricca e complessa e allo stesso tempo chiara, trasparente come Fréderic Cherki. 

Per l’Éducation Nationale ricopre Il ruolo d’Inspecteur per le Académies de Versailles e Orléans-Tours, per l’insegnamento della lingua italiana. Per tanti italiani, professori e no, un punto di riferimento per quella straordinaria arte dei passeurs, ovvero di chi s’ingegna a cartografare tutti i valichi culturali possibili da percorrere nel passaggio dall’Italia alla Francia, attraverso il più formidabile mezzo di trasporto che esista, ovvero la lingua e la cultura che incarna. I viaggiatori, ragazzi di tutte le età, ne percorrono allora le strade che non portano soltanto a Roma, ma anche a regioni dimenticate dal turismo o realtà inimmaginabili al di qua delle alpi. Nella mia breve ma intensa esperienza di professore ho potuto, grazie a lui, scoprire un significato della parola “ispettore” che fino ad allora m’era relegato o nell’immaginario dei polar, dei personaggi creati dai miei amici giallisti, tipo l’ispettore Ferraro di Gianni Biondillo, l’ispettore Loiacono di Maurizio De Giovanni, o Mordenti, di Enrico Pandiani, ma che però è commissario.

Se interroghiamo la Treccani ci dice che la parola ispettore deriva dal lat. inspector -oris, der. di inspectus, part. pass. di inspicĕre “osservare”, comp. di “in-” e specĕre, “guardare”. Ecco, Frédéric Cherki è una persona che guarda dentro alle cose, alle persone con una missione ben precisa: lasciare emergere il meglio che c’è da cose e persone. E scusate se è poco.

Potrebbe presentarsi ai nostri lettori con un twit? 

Grazie# per l’invito. Sono @frederic_cherki, per più di 25 anni felice professore d’italiano presso quasi tutti i tipi di pubblico esistenti in Francia, e dal 2016 felice ispettore in @acversailles e @ac_orleanstours.

Lei è un punto di riferimento per tantissimi insegnanti d’italiano qui in Francia: ci racconta com’è nato il suo amore per l’italiano e l’Italia? 

Il mio grande amore per l’italiano e per l’Italia è nato in Bretagna al liceo, grazie all’iniziativa di una professoressa, e più particolarmente in occasione di uno scambio scolastico con una classe di Urbino. Ho preso una cotta per il Bel paese e la storia d’amore dura, più viva che mai per dirla con Christian Bobin. Ho capito solo più tardi che era anche per me un modo di accedere ad un paradiso famigliare mediterraneo perso.

Forse avrei dovuto dire tantissim# insegnanti#. Lei che ne pensa di questo artificio?

Lei è il solito esagerato#, caro @comunistadandy!

Ci racconta del suo primo viaggio in Italia? Qual è la regione che le è piaciuta di più e perché?

Già fatto! 

Il secondo allora?

Organizzato tutto da me: un soggiorno a Firenze sotto Natale. Ricordo tuttora l’intero programma di quella settimana molto particolare. Tante scoperte e molti incontri affascinanti determinanti per orientare il cammino della mia vita!

Secondo lei dove si parla l’italiano più bello? Non dico il vero che, come si sa, non esiste.

Quello più bello è sicuramente l’italiano parlato da e con gli amici; non c’entrano la regione, la provincia, la città o il campanile. è senz’altro la lingua dell’ospitalità eccezionale che ti sanno sempre dare tutti, dal nord al sud della penisola. Una tenerezza particolare tuttavia per la erre moscia, quella di un «figurati!» di stampo tosco-emiliano dal delizioso accento gucciniano. 

In questi ultimi anni è aumentato il numero di docenti d’origine italiana in Francia, come inspecteur qual è il suo bilancio? Ci sono differenze tra i due approcci, le due formazioni?

Per me la tendenza non risulta nuova. Sicuramente le culture e le usanze scolastiche in entrambi i paesi sono, per certi aspetti, ben diverse. Diciamo che come sempre la complementarietà costituisce allora una ricchezza, purché alla base dell’insegnamento ci siano gli ingredienti essenziali: la voglia di far progredire tutti quanti trasmettendo una passione con rispetto, con grande pazienza, con creatività e, naturalmente, con entusiasmo.

Cosa la sorprende di più dell’Italia? Qual è l’ultima città italiana che ha visitato e quale quella in cui le piacerebbe organizzare il buen retiro?

Probabilmente la capacità sempre rinnovata di sorprenderti, appunto. Per esempio, la recente scoperta di Spoleto e del suo festival dei due mondi in occasione di una bella camminata estiva tra Assisi e Roma. Sempre seguendo itinerari francescani, tra il Moncenisio e Caput mundi, ne ho visti tanti di posti splendidi, e non solo in città, dove potrei ideare una serena e lunga vacanza.

Che cosa piace ai francesi della lingua italiana e dell’Italia?

Per quanto riguarda la lingua, sicuramente il fascino delle vocali e la musicalità naturale di ogni parola. Una piccola perfezione, no? Parlando dell’Italia, invece, non basterà mai il manuale più completo a recensirne gli aspetti più affascinanti. E il paese è così creativo da inventare sempre nuovi motivi di seduzione. 

Cosa invece non piace?

A dire il vero secondo me poche cose, pochissimi aspetti spesso ispirati a un non so che di simpatica invidia.

Ci dice cinque luoghi comuni sull’Italia che desirerebbe «smontare»?

Smontare gli stereotipi che hanno la vita dura. Ma, sì che questa è proprio una delle missioni più esigenti dell’insegnante di lingua straniera! Magari fossero solo cinque gli stereotipi da smontare! Ci siamo capiti, eh? Non desidero in questo caso fare la minima pubblicità. 

Basta stare attenti sempre e smontare, smontare ancora, resistendo con pazienza e determinazione all’assenza di riflessione e sforzandosi di valorizzare tutte le iniziative virtuose, che non mancano mai.

Sappiamo che lei è appassionato della canzone italiana. Se dovesse organizzare un karaoke quali sarebbero le dieci canzoni evergreen da inserire nella playlist?

Non mi piacciono tanto le liste, di qualsiasi tipo. Comunque nel novero delle canzoni che mi piace cantare, oltre a Volare, citerò senza esitazione né grandissima originalità Scirocco, Autogrill e Piccola città di Francesco Guccini, La donna cannone e La leva calcistica della classe ‘68 di Francesco De Gregori, Genova per noi e Bartali di Paolo Conte, Sassi di Gino Paoli versione Ornella Vanoni, Fiume Sand Creek e La guerra di Piero di Fabrizio De André, L’anno che verrà, Piazza grande, Caruso4-3-1943 di Lucio Dalla, Napul’è di Pino Daniele, Il mio rifugio di Riccardo Cocciante, Diamante di Zucchero, Pregherò e Il ragazzo della Via Gluck di Adriano Celentano. Ma non ce la faccio a limitarmi a dieci canzoni. E non ho evocato Mina, Franco Battiato, Lucio Battisti, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, il Fango di Jovanotti né la nuova generazione dei Raphael Gualazzi, Brunori Sas, Max Gazzè, Fabri. Un vero e proprio supplizio questa domanda! Una volta tanto, mi scusi di non aver rispettato le regole del gioco.

Ops quante parole inglesi! Lei che ne pensa di questa ingerenza linguistica? Le piacciono le contaminazioni? Ci potrebbe fare un esempio italiano «felice» di creolizzazione ?

Su questo punto, la dicono lunga le canzoni di Celentano (Svalutation) o di Carosone (Tu vuo’ fa’ l’americano). E così smaltisco la frustrazione della risposta precedente e continuo a barare, un po’.

Ci dica la verità, quando è stato dato il premio Nobel a Bob Dylan, ha stappato una bottiglia di champagne?

A dire il vero no. 

Ma lo farò senz’altro il giorno della consegna del prestigioso premio a Francesco Guccini.