I giardini di Marceau

Di effeffe

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Nome: Fabrizio Pazzaglia

Nato: 10 marzo 1962

Segno zodiacale: pesci

Residenza: apolide

A Parigi dal 1987.

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Primi passi da danzatore nell’ effervescenza parigina che un contratto controfirmato da Marcel Marceau ha reso possibili e di lì un’attitudine nomade e zingara che ne determina il destino sospeso tra Berlino, Londra, Lisbona, Madrid. 

Studi di danza classica, diplomato alla Royal Dancing of London e Isef, lunga è la lista di coreografi e registi con cui ha collaborato: Dominique Frot, Brigitte Seth, Roser Montllo’ Guberna, Anne Sicco, Hervé Jourdet, Francis Plisson, Philippe Tréhet, Olga Roriz, Matthew Jocelin. Molti i maestri, da Genet a Pasolini e tra i cantanti che ama ascoltare spicca su tutti il nome di Lucio Battisti. Da qui il titolo.

Cosa rappresenta per te Parigi?

Una parola sola: choc culturale. E quando dico culturale non è certo in senso lato ma proprio un riferimento alla cultura. Da provinciale qual ero per me la cultura era qualcosa di accademico, di formale, di rigido. Spettacoli come il Roi Lear di Serge Merlin, che i non addetti ricorderanno nel ruolo dell’uomo di vetro, il pittore nel Favoloso mondo di Amélie, erano lontani anni luce dal repertorio che proposto dai cartelloni di danza classica in Italia, tipo il principe azzurro. Un elettrochoc per me, senza parlare una parola di francese. Ho scoperto il cinema, Betty Blue (37°2 le matin).

Tante proposte da subito e una scoperta essenziale.

La mia esperienza e conoscenza del corpo umano ha sicuramente contato molto nell’affidamento di tanti ruoli, da Fedra a Galilei, per produzioni diverse e molto sperimentali. Quando ho cominciato a lavorare co Marceau fu proprio il maestro a mandarmi a un workshop con Lindsay Kemp a Venezia. È stato anche grazie a questi incontri mi sono reso conto che potevo portare anche delle creazioni di personaggi inizialmente non contemplati nei copioni. Andrea Sacchi mio maestro all’Isef mi aveva formato su quello che per me è l’aspetto fondamentale, il fil rouge che univa come un filo d’Arianna tutte le mie esperienze. Teatro, danza, viaggi nelle capitali europee, presentavano pur nella loro frammentarietà un disegno centrale, un destino. Per spiegarti meglio la mia idea di corpo ti faccio un esempio legato a un’attività recente che svolgo con bambini affetti da handicap, in alcuni casi molto forti. A un certo punto ho mostrato a una bimba di nove anni una mano di quelle dipinte sulle caverne dagli uomini preistorici e le ho chiesto che cosa vedesse. La bimba senza pensarci due volte ha letteralmente sputato il colore dalla sua mano alla parete. Abbiamo poi discusso cosa lei avesse dipinto, la mano o la parete?  E abbiamo deciso che era la stessa cosa, la mano era una parete, la caverna era l’estensione del corpo. 

La capacità terapeutica dell’arte ti ha fatto “inventare” una nuova strada.

All’inizio pensavo che il corpo fosse un attrezzo, un mezzo. Un incidente di percorso, circa dieci anni fa, degli episodi di lombalgie molto dolorose mi ha indicato la strada. Contrariamente a quanti credono che la creazione autentica debba accompagnarsi alla sofferenza, poiché io invece credo che sia gioia, ho deciso di mettere le mie conoscenze “tecniche” di osteopata a servizio delle comunità. Di qui la collaborazione con la DRAC (Direction régionale des affaires culturelles) di Créteil e con la Mediateca, il Centre e le associazioni che vi ruotavano intorno. Ho immaginato progetti artistici legati al corpo sociale, un progetto sulle api che come sai sono esseri sociali che comunicano danzando, sui balli rituali di gruppi e culture diverse. Fino a quando…

Un colpo della strega?

Strega non direi proprio anzi. L’incontro con il Rolfing, conosciuto attraverso lo studio con il mio professore e poi iniziato a praticare è stata la mia “illuminazione” sulla via di Damasco. Disciplina fondata da Rita Rolf nel 1971 e tutta incentrata sulla fascia, detto all’italiana, che insieme ai tessuti connettivi può determinare la giusta o cattiva postura di un individuo in relazione alla forza di gravità.  Così ho aperto uno studio in Rue Oberkampf nell’undicesimo.

Se ho ben capito la gravità diventa una forza

Solo se si considera il corpo e lo spirito come una cosa sola.  Quando parlo di cognitività questo voglio dire, ed è l’importanza della messa in relazione. La postura è il segno di una relazione al mondo. Rivolgersi all’altro attraverso l’espressività. Ho un gruppo di bimbi da tre anni, nessuno sapeva leggere e scrivere e molti soffrivano di enormi disturbi d’espressione. Con loro ho cominciato a lavorare sull’involucro della pelle e questa “conoscenza” di sé aveva permesso di rompere la pellicola di silenzio, perfino della percezione del dolore. Accedere a quella biblioteca del cuore che ho in occasione di uno spettacolo, definito «sentimenthèque».