Imperia è una sindrome di abbandono

Testo di Marino Magliani
Foto di Franca Anfossi

Se è vero come dicono che le mappe contengono sempre qualcosa di imperiale, immaginate di tentare una mappatura di una città che si chiama Imperia, e alla fine di imperiale non trovare nulla, perché, semplicemente, Imperia non esiste, non c’è, non c’è mai stata. Del resto, non c’è nulla di più capriccioso che mettere assieme due cittadine come Porto Maurizio e Oneglia e chiamarle Imperia. L’ha fatto nel 1923 Mussolini, dopo averci soggiornato a lungo nel 1908.

In Liguria serve solo ciò che si può tradurre in dialetto ligure e in effetti Imperia non si traduce. Porto Maurizio e Oneglia le divide un torrente, l’Impero; la prima è quasi sempre stata sotto il dominio dei Genovesi, la seconda dei Piemontesi. Infatti, se andate a Porto, con i suoi carruggi che abbrivano la rocca del Parasio e i loggiati di Santa Chiara, vi sembrerà di essere a Genova, mentre a Oneglia, portici e piazza grande con la fontana al centro, vi daranno l’impressione di essere a Cuneo o a Torino. Un tempo le frontiere tra le due cittadine erano ben sigillate e c’era odio e si finiva per odiare anche gli amici dei nemici. Come i Francesi, alleati di Porto e odiati da Oneglia perché nel 1792 l’avevano bombardata. Poi ci pensò Napoleone, si prese una e l’altra e quando nel 1815 la sua stella tramontò, i Piemontesi ebbero la meglio sui Genovesi e le frontiere vennero abbattute per sempre. E ora? Ora Imperia è l’estrema soffitta dell’Italia e può solo ricordare d’essere stata la città della pasta e del commercio, dei corridoi per il Piemonte. Ma soprattutto, la città dell’olio (tutt’ora, il poco olio che si produce resta uno dei migliori del mondo), che proveniva dagli uliveti di Dolcedo, Prelà, da Lecchiore, dove visse Giovanni Boine, che meglio di ogni altro seppe individuare e prevedere il crollo dell’olivicoltura. E poi da Pontedassio e Chiusanico e Borgomaro e dalle vallate del dianese. Fino agli anni sessanta, l’ottanta per cento del territorio era piantato a ulivi, da fondovalle fin su in cima, a cinquecento metri sul livello del mare, una vera cattedrale degli ulivi… E ora? L’uliveto è in gran parte soffocato dai rovi. Ecco gli abbandoni, i marchi storici dei produttori, i Sasso, i Berio, il ricordo in cui l’industria olearia produceva reddito e cultura. Nei primi decenni del secolo scorso, a Oneglia operava Mario Novaro, poeta e industriale che curava l’olio Sasso e una tal rivista che gli addetti ben conosceranno. Era La Riviera Ligure, l’unica credo in grado di pagare i collaboratori, e costoro rispondevano al nome del già citato Giovanni Boine, di Camillo Sbarbaro, di Prezzolini, Piero Jahier, Pirandello, Guido Gozzano, Dino Campana, e ne dimentico a decine.
La deriva delle vallate e della città ligure è quella del lento crollo in mare. La stranezza quella di aver dedicato le sue migliori vie a due eroi partigiani (ma quanto a nomi si perdono i grandi, nati o vissuti a Imperia, addirittura il padre del creatore della bandiera argentina, Domenico Belgrano, e Luciano Berio, compositore, e Renato Dulbecco, Nobel, e Giulio Natta, anch’egli Nobel per la chimica, e Mario Novaro, si diceva, e tra i contemporanei, il poeta Giuseppe Conte) come Silvio Bonfante e Felice Cascione, esempi rari di moralità, e poi aver dimenticato, aver consegnato la città a pessimi gusti.

Ma attraversiamola dunque, questa doppia città, da ponente verso levante, partendo dal Monte Calvario, sormontato dal Santuario di Santa Croce, una chiesa barocca, incastonata come in uno scrigno tra le due ali del convento settecentesco. Antistante, un piazzale d’erba e la vista sul colle del  Parasio, vero e proprio bastimento in procinto di farsi cullare dalle onde, con le sue Logge di Santa Chiara, appartenenti al Monastero, fondato nel 1365 dalle Clarisse, e la chiesa di San Pietro. Più giù, la cattedrale di San Maurizio e Compagni Martiri, in stile neoclassico, costruita nel 1781. È la più grande chiesa ligure. E giù ancora, attraverso Via Cascione si scende in doppio senso al mare, perché Porto ha la forma di una poppa di veliero che penetra cielo e mare. Le belle spiagge qui sono quelle alla Foce del Caramagna e del Prino e la Marina, con la sua gotica Ave Stella Maris, le guglie e i due angeli di Francesco Bruno e La Madonna Immacolata tra i Santi Antonio Abate e Andrea di Tommaso Carrega.
Passata la Marina, prima di giungere a Oneglia c’è una strada relativamente nuova che chiamano Superstrada e in mare dilaga un’opera incompleta da anni, che risponde al nome di nuovo porto turistico. Occorre dire che nel Mar Ligure è successo un po’ come per le coltivazioni redditizie, cinquant’anni fa andavano i garofani e tutti a piantare garofani, poi soppiantati in massa dalle rose e dalla lavanda, poi pitosfori e ranuncoli e ora l’abbandono in massa delle serre. Così per i porti turistici, hanno iniziato con non so quale porticciolo e poi c’è stato un effetto domino, Ospedaletti e Santo Stefano, Sanremo, e Ventimiglia. Imperia non poteva non aggregarsi. Dicono  fosse un sogno e nessuno (un poeta l’ha fatto) ha spiegato  che una volta tanto i sogni sono belli se non diventano realtà.
Ma eccoci a Oneglia, sulle rive dell’Impero, ecco ciminiere e edifici della Pasta Agnesi, da poco anch’essa chiusa. Prima di giungere in Piazza Dante, dove termina la nostra mappatura imperiale degli abbandoni, facciamo il giro attorno alla fabbrica. Questa è la gru di un porto commerciale che non esiste più, in compenso ne esiste uno molto bello, con negozi e ristoranti ed è forse il più bel porto che io abbia mai visto, col suo molo piegato e la sua passeggiata lunghissima e larga, col busto di Manuel Belgrano. Poi si taglia verso la Collegiata di San Giovanni Battista, costruzione in stile tardo barocco genovese, con la pianta a croce latina e tre navate con cupola. Ecco infine i portici di Via Bonfante e la piazza con zampilli, e il palazzo dell’orologio che chiamavano Cremlino. I bar storici, il giro di portici, e infine se si torna verso il porto di Oneglia la visione di Porto Maurizio, sfavillante, e bellissima, in un tramonto che assorbe e spande luce. I portorini sostengono che la cosa più bella di Oneglia sia la vista su Porto Maurizio, ma si sa, tanto tempo fa se le sono suonate.

Franca Anfossi, vive a Taggia, fotografa ligure, tra le altre opere ha collaborato al materiale iconografico della graphic novel La ricerca del legname (Tunuè) e del romanzo su Manuel Belgrano, Il creolo e la costa.

Marino Magliani, narratore e traduttore, l’ultimo suo romanzo è L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi (Exorma) e la traduzione, Paco Yunque da Cesar Vallejo (Lo studiolo).