La “comedia” (non) è finita

a cura di Francesco Forlani

trascrizione di Sirio La Pietra rivista e corretta dal maestro Francesco Forlani

foto di Sergio Trapani

 

Le Théâtre de la Comédie Italienne non è soltanto un luogo ma un mondo. Chiunque abbia vissuto a Parigi per un po’ non può non aver sentito parlare, per lo più dagli amici francesi, o dalla viva voce del suo fondatore Attilio Maggiulli il canto o il disincanto della storia di questa sala nata nel 1980 nel cuore di Montparnasse. Un’Ambasciata irregolare, un Consolato clandestino in grado di offrire rifugio e asilo a chiunque abbia una libertà dello spirito assoluta e il talento per raccontarla, quella libertà. Con Patrizia Molteni e  con Sergio Trapani in veste di fotografo  ci siamo ritrovati davanti al muro del tempo, la facciata in maschera dell’opera di un solo uomo ma di secoli di tradizione e aspettiamo non senza emozione che ci faccia entrare in quel mondo.

Questi ritratti che facciamo in “Parigi senza passare dal via” riguardano i destini degli italiani in Francia. Che cosa è che ti ha spinto a venire qui a Parigi?

È stato Giorgio Strehler, perché ho cominciato lavorando con lui e mi ha detto una volta “c’è un solo pazzo che può riaprire un teatro italiano a Parigi e quello sei tu!”. Anche Paolo Grassi, che ha fondato il Piccolo di Milano con Strehler, mi è stato di enorme aiuto offrendomi una borsa di studio per venire a studiare qui a Parigi. Dopo sarei dovuto ripartire, ma Strehler mi ha convinto a restare, e con il Piccolo si è messo a disposizione aiutandomi con i materiali di scena, le luci e con l’organizzazione del teatro.

Il tuo teatro ha sicuramente delle radici nella commedia dell’arte che si sente molto nelle tue esibizioni ma non solo. Ce lo racconti?

Per me la commedia dell’arte non è limitata alla tradizione della maschera italiana regionale che è stata poi trasferita anche in altri paesi. Per me la Commedia dell’Arte è sicuramente tradizione ma anche una forma teatrale in grado di raccontare il tempo presente, la complessità del mondo attuale. Per esempio, i pionieri del cinema come Charlie Chaplin o Buster Keaton, provenivano dal mondo della pantomima da un lato e dall’altro di quello che chiamiamo teatro d’avanspettacolo inglese o americano, fatto di attori che sapevano recitare, ballare, cantare. Poiché non esisteva il sonoro la loro recitazione, la mimica, il trucco, la gestualità, riprendeva proprio le regole della Commedia dell’Arte, italiana all’origine ma poi diffusasi in tutto il mondo con le contaminazioni che possiamo immaginare.

Preparando l’incontro mi sono imbattuto sull’incisione di Jean-Antoine Watteau, davvero forte, che è la cacciata dei comici italiani che voi avete messo in scena.

Si è uno spettacolo del 1697 che andò in scena all’Hotel Bourgogne in cui veniva fortemente derisa Madame de Maintenon, moglie segreta di Luis XIV. Allora con altri attori italiani abbiamo messo in scena questo spettacolo mettendo in parallelo quella cacciata con la nostra da Rue de la Gaité.

Negli anni ottanta che cosa era che cambiava, se qualcosa cambiava, in quegli anni?

Sicuramente il mio viaggio in America. Per me è un grande piacere parlarne nel senso che è stato molto istruttivo confrontarmi con un mondo diverso. È cominciato con uno stage alla Columbia University, ancora una volta è stato Strehler ad aiutarmi, mi disse che aveva un amico, triestino come lui, che si chiamava Leo Castelli e che era forse il più grande gallerista al mondo. Leo Castelli e sua moglie Ileana Sonnabend mi hanno “adottato” e mi hanno messo a disposizione un locale che era un magazzino dove Leo teneva vecchie tele. Mi disse che potevo metterlo a posto e realizzarne un teatro. Mi sono dato molto da fare, ho rubacchiato pittura e altre cose per l’allestimento e ho messo su un teatrino italiano. Avevo come vicino nel teatro di fronte Frank Zappa che tutti i giorni passava a trovarmi e mi parlava in dialetto siciliano, visto che sua nonna era di lì. Lui all’epoca collaborava su delle musiche con Pierre Boulez. Il giorno della firma del contratto con Leo Castelli mi ha dato un fazzoletto dicendomi “questo fazzoletto è appartenuto a Marliyn Monroe, a me l’ha dato Andy Warhol e spero che ti porti fortuna”. Questa è la storia del mouchoir. Ho trascorso un periodo bellissimo, mi sono ritrovato in un posto mitico, cioè che col tempo è diventato un luogo mitico come la galleria di Leo a Greene street, che è la strada che ha dato il nome alla galleria. Una volta, mentre ero lì, c’era Roy Lichtenstein che stava dipingendo un murales all’interno della galleria, alle volte passava anche Jackson Pollock a dare qualche pennellata, una volta una pennellata l’ho data anche io, c’è anche una foto dove c’è Roy Lichtenstein mentre dipinge con me di spalle. Il murales adesso è stato distrutto ma Gagosian, il grande gallerista, ne ha fatto una copia nella sua galleria.

Sei mai stato alla Factory di Warhol?

No, non ci sono mai stato. La cosa strana è che Leo Castelli detestava Warhol, trovava che copiasse e che fosse in ritardo coi tempi. E che lui veniva dal mondo della pubblicità mentre tutti gli altri venivano dallo studio delle Accademie. Leo riteneva Warhol un opportunista, con quella sua abitudine di fare copie dei quadri che Leo detestava, non gli piaceva il suo interessarsi alle celebrità, avevano due modi diversi di intendere la pittura.

Tornando al teatro, c’è un teatro col suo palco ma c’è anche un teatro non visibile, come racconti di alcune vicende con Mastroianni. Ce lo racconti?

È la strada il luogo dove accadono le cose più interessanti. In Rue de la Gaité c’è stato un susseguirsi di personaggi incredibili. Da Jean Baudrillard al grande Samuel Beckett, in tanti e non solo da qui, ma da tutta Europa ci hanno onorato della loro presenza. Noi siamo i Re di Rue de la Gaité, siamo in mezzo a tanti grandi teatri, è vero ma se ci fai caso noi siamo al centro di questa strada storica e non solo per il teatro. Per esempio Ingrid Bergman, che veniva spesso a mangiare in un ristorante qui vicino, si fermava sempre un po’ da noi in teatro perché voleva parlare italiano, rivivendo così la stagione trascorsa con Rossellini. Si metteva in un angolo e ci raccontava le sue storie italiane, i viaggi, il suo cinema. A proposito ho un aneddoto con Mastroianni che devo assolutamente condividere. In pieni anni ottanta era in cartellone al Théatre Montparnasse con lo spettacolo Cin Cin, regia di Peter Brook. Quando ha scoperto la nostra esistenza si è informato e ci è venuto a trovare.  Non c’era giorno che non passasse da noi salutandoci con la stessa formula: “mi riparo qui”. Si metteva in giardino a ripassare il copione o a farsi una mezz’ora di sonno. Una volta, a dei giornalisti che si erano accorti della sua presenza e che volevano intervistarlo, di fronte alla loro insistenza lui se n’era uscito dicendo: “ Andate lì, c’è un pazzo che si chiama Maggiulli e sicuramente ha cose più interessanti da raccontarvi’’.

Che cosa rappresenta per te Parigi?

Parigi è un posto dove la gente prende quartiere, come me del resto. Per me attraversare la Senna è un’angoscia, arrivo fino a Saint-Germain- de-Prés, di tanto in tanto mi faccio vedere alla Tour de Babel sulla rive droite quando devo andare in Rue de Francs-Bourgeois.

Tornando alla storia del fazzoletto di Marilyn, ci racconti come è finita?

Una volta tornato a Parigi incorniciai il fazzoletto e lo dimenticai lì. Ad un certo punto volevo dare un altro ruolo a mia moglie che non poteva fare, ancora, la commedia dell’arte. Ho immaginato che Marilyn Monroe non fosse morta e che era stata trasportata in Sicilia dagli “amici” di Joe Di Maggio. Ho messo su uno spettacolo con due attori perché non potevo pagarne tre e ho fatto interpretare a mia moglie la vecchia Marilyn cieca e novantenne. Nello spettacolo il fazzoletto apparteneva a Simone Signoret che era corsa da Marilyn quando era venuta a conoscenza della storia tra lei e Yves Montand, suo marito. Quando scopre che questa relazione non c’è mai stata diventa molto amica di Marilyn e una volta, vedendola piangere in un camerino, le dona questo fazzoletto. Quando Marilyn si accorge di aver perso questo fazzoletto dice “spero che quel fazzoletto renda felice un’artista in un momento di bisogno”.

Tra l’altro lo spettacolo sarà in scena dal 23 settembre alle 20h30. Autore Fabio Fabi, regia, naturalmente di Attilio Maggiulli, con due interpreti davvero eccezionali, Hélène Lestrade e Valentina Vandelli. Per tornare alla storia del fazzoletto ci racconti il miracle?

Per poter far fronte alle enormi spese e debiti del teatro l’ho messo all’asta ricevendone delle proposte allettanti: 35.000, 40.000 euro che sinceramente, con l’acqua alla gola in cui mi trovavo, stavo per accettare. Però prima di chiudere la trattativa si è presentato in teatro un signore distinto, un assiduo frequentatore dei nostri spettacoli, chiedendomi: “A quanto ammontano i tuoi debiti?” Io risposi 275.000 euro, lui me ne diede 300.000 alle sole condizioni di rimanere anonimo e di essere il custode di quel fazzoletto, disponibile  ogni volta che mi sarebbe servito per lo spettacolo. Custode, non proprietario del bene che alla sua morte sarebbe poi tornato alla Comédie italienne. Mi ha lasciato l’assegno che vedi e se ne è andato in metrò. Salvo per merito di un anonimo quando nessuna delle istituzioni italiane ha  mosso un dito in favore della nostra sopravvivenza.

Possiamo dire che una storia del genere può succedere solo a Parigi?

No assolutamente. I pazzi sono dappertutto.

Qualcosa sulle prossime rappresentazioni?

Ho in mente di fare uno spettacolo per bambini che si chiamerà Qui a tué le Père Noel, la storia di una bambina che ne dice di tutti i colori a Babbo Natale riguardo a una certa sua idea della donna. Poi farò di nuovo Le mouchoir de Marilyn e anche Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione. E per finire i Dialoghi puttaneschi di Pietro Aretino. Tutto dal 23 settembre.