La crisi Francia Italia, un esempio di miopia politica

di Paolo Modugno

La crisi tra Francia e Italia che ha condotto, il 7 febbraio scorso, al richiamo in patria dell’Ambasciatore francese, Christian Masset, costituisce il più grave momento di tensione tra i nostri due paesi dal famoso coup de poignard dans le dos rappresentato dalla dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia nel giugno 1940.

Questa crisi si spiega, a mio avviso, in primo luogo per ragioni di politica interna. Come hanno dimostrato le recenti elezioni regionali in Abruzzo e Sardegna all’interno del governo giallo-verde si è instaurata una dinamica di concorrenza tra i due partiti che vede la Lega di Salvini guadagnare sempre più consensi rispetto al Movimento Cinque Stelle. Quest’ultimo non cessa di scendere nei sondaggi e alla recenti regionali ha più che dimezzato le sue percentuali di voto rispetto alle elezioni politiche di un anno fa.

In questo contesto, gli esponenti del M5S si sono lanciati alla rincorsa delle posizioni della Lega che aveva individuato in Emmanuel Macron il nemico perfetto contro cui scagliarsi in vista delle elezioni europee del maggio prossimo. Dapprima il Sottosegretario agli esteri, Manlio Di Stefano, ha proferito delle dichiarazioni insultanti e indegne di una persona che ricopre cariche governative nei riguardi del Presidente della Repubblica francese, accusato di avere il “complesso del pene piccolo”. In seguito, c’è stata la famosa visita della delegazione M5S condotta dal Vice Presidente del Consiglio Di Maio e da Alessandro di Battista che il 5 febbraio ha incontrato un gruppo di gilets gialli della lista RIC (Ralliement d’initiative citoyenne) che dovrebbe presentarsi alle elezioni europee.

 

Quest’episodio è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso anche se, di per sé, non si trattava di un evento di grande importanza ma di un fatto piuttosto banale nel contesto delle prossime elezioni europee del 26 maggio. Il M5S infatti, ha bisogno di stabilire dei contatti con altre formazioni politiche perché per poter formare un gruppo al Parlamento europeo, c’è bisogno di parlamentari appartenenti ad almeno 7 paesi… Tutt’al più l’episodio dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, la scarsa competenza politico-diplomatica di alcuni membri della compagine governativa che, oltre a formulare insulti da bar, non sanno neanche che, nel momento in cui si effettua una visita ad esponenti dell’opposizione radicale al governo di un paese europeo, si deve almeno avere la buona creanza politico-diplomatica di comunicare al governo in questione che questa visita viene effettuata in qualità di leader politici e non di rappresentanti governativi. La reazione francese può apparire un po’ spropositata ma si inserisce anch’essa nel contesto di pre-campagna delle europee nel quale fa gioco a Macron scagliarsi contro un paese governato da due partiti alleati, presenti o futuri, dei suoi principali oppositori: il Rassemblement nationale e i gilets jaunes. Il Presidente francese può in questo modo apparire come l’alfiere dell’europeismo anti-populista.

Ma al di là della politica interna dei rispettivi paesi, questa crisi giunge al culmine di un periodo caratterizzato da gravi tensioni tra i due paesi su diversi fronti. Cerchiamo di sintetizzare le principali poste in gioco nella querelle franco-italiana.

Il primo dossier caldo è, ovviamente, quello dell’immigrazione in cui si sono verificati numerosi episodi nel corso dei quali l’Italia accusava la Francia di “predicare bene e razzolare male”: ad esempio giudicando “da vomitare” la politica italiana in materia (Gabriel Attal, 12 giugno 2018, quando era portavoce del partito En Marche) senza però sforzarsi di accogliere dei rifugiati sul proprio territorio o riportandoli, senza autorizzazione, dall’altra parte della frontiera e abbandonandoli nei boschi italiani (Claviere, 15 ottobre 2018).

In secondo luogo, numerosi sono i dossiers economici nei quali gli interessi dei due paesi appaiono contrastanti, a cominciare dalla realizzazione o meno della linea ad alta velocità tra Lione e Torino (“chissenefrega di andare a Lione”, tuonava in proposito il Ministro dei trasporti pentastellato Danilo Toninelli), continuando con il caso dei cantieri navali di Saint Nazaire (nel quale Macron aveva fatto marcia indietro rispetto ad un accordo concluso da Hollande), per finire con i due nervi scoperti del gruppo Vivendi facente capo alla famiglia Bolloré osteggiato nella vicenda Telecom Italia e in conflitto aperto con la holding dei Berlusconi riguardo alla mancata acquisizione da parte dei francesi della società di pay tv Premium.

Il terzo fronte infine, è quello della politica estera dove, dalla Libia al Venezuela, passando per l’Egitto ed i rapporti con la Russia, gli orientamenti dei due paesi vanno, per parafrasare De André, in direzioni ostinate e contrarie.

Dopo una settimana, la crisi si è risolta grazie soprattutto all’azione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, per primo, subito dopo lo scoppio della crisi, appena tornato dal suo viaggio in Africa, aveva sottolineato la “necessità di difendere e preservare l’amicizia tra Francia e Italia”. Il ruolo del Presidente, interpretato di concerto con il Ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, è chiaramente quello di cercare di evitare un possibile isolamento del paese nel consesso internazionale ed europeo.

Tuttavia, le prese di posizione divergenti dei due governi sono destinate a coesistere almeno sino alle elezioni europee. Tanto più che, secondo un recente sondaggio di Ilvo Diamanti, la fiducia degli Italiani nei confronti della Francia è calata, in 5 anni, di ben 17 punti, passando dal 41 al 24%. A uno sguardo miope e superficiale, attaccare i nostri cugini d’oltralpe sembra dunque pagare, se non dal punto di vista economico, almeno per quanto riguarda il consenso politico presso la popolazione italiana.