L’estate corsa, Francesco Forlani

di Arianna Caringi

Una delle ragioni migliori per raccontare una storia è spesso il suo fondo intimo di verità. L’impulso alla realizzazione umana di un qualsiasi artefatto può essere poi il desiderio, e questo viene esaudito al meglio attraverso un percorso che non ha nulla di semplice, ma è invece fatica e difficoltà. Per questo, il protagonista de L’estate corsa insegue nella scrittura un intreccio che nasce come fittizio, ma che si rivelerà, passo dopo passo, pericolosamente reale. Dal suo sperduto ed angusto angolo parigino (come tutti gli angoli parigini), Frank è chiamato in Corsica per raccontare una storia che vuole essere celebrazione e intimazione. Quello che i funzionari del comune chiedono allo scrittore, come nelle corti rinascimentali, è di inventare una storia celebrativa che possa mettere in guardia i cittadini da una pericolosa curva a picco sul vuoto. Per farlo, precedentemente, il sindaco aveva fatto erigere un monumento dedicato ad un uomo in realtà mai esistito, finto martire di una tragedia potenziale. Il compito dello scrittore Frank è quello di orchestrare la concatenazione di questo sfortunato evento, concedendo a questo personaggio delle origini, una casata, una storia tortuosa e degna di un eroe sacrificatosi prima di tutti gli altri alle insidie del caso, morendo, come ogni eroe che si rispetti, precipitando

Nonostante le immediate apparenze, L’estate corsa è più di una storia che racconta una storia. Il tessuto del romanzo è molto più intricato e labirintico. L’arrivo del protagonista nell’isola, il suo iniziale sorvolare le cose, le case e i monti con uno sguardo esterno ad una comunità preannunciatemene chiusa e ferma, le sue ricerche in biblioteca, il suo modo di studiare le persone, innescano nella narrazione un atteggiamento di osservazione della realtà che ricorda, nella forma e nel meccanismo iniziale, la figura obliqua nella pioggia e nel vento di quell’Antoine Roquentin che, ne La nausea, si aggirava per Bouville apparentemente sulle tracce di un avventuriero del XVIII secolo, inseguendo in realtà una verità molto più urgente e importante. Questa struttura iniziale da romanzo filosofico resterà in piedi per tutto il corso della narrazione, sfumando e confondendosi però, successivamente, verso i contorni del romanzo storico. Questa ingerenza, quasi violenta e dissonante, sarà causata dall’inserimento di foto, documenti, paragrafi interi e dettagliate ricognizioni su un passato che, partendo da lontano, arriva fino a bussare sulle spalle del protagonista. Tale vicinanza temporale inserisce nell’insieme già affollato – di voci passate e presenti, addirittura fantasmiche a volte – la suspence dell’inchiesta, del mistero irrisolto tipico del romanzo poliziesco. Così, come ogni scrittore che prima di tutto cerca la verità, Frank trova nella finzione le ragioni di tutto.

E non lo fa da solo. Lui, le cose che scrive e le cose che pensa lungo tutto il tempo che passerà in quest’isola anomala – e analoga – pullulano di voci e discorsi che cospargono le vicende di innumerevoli personaggi, riferimenti, idee. L’intertestualità è una delle caratteristiche portanti del testo. Essa si manifesta attraverso l’inserimento di testi interi (come nel caso del brano tratto dagli Scritti Costieri di Gabriel Garcia Marquez), riferimenti continui a tutto ciò che della vita può rispecchiarsi nella letteratura e nella storia del pensiero. Questi agganci intertestuali, senza essere sempre puntuali e matematici, si affacciano alla mente del protagonista anche privi di correlati specifici, riemergendo come residui di un bagaglio di nozioni e sensazioni archiviate nella memoria. È spesso “un poeta che una volta ha detto” qualcosa a suggerire l’indizio propizio alla risoluzione di un enigma che, per quanto possa essere funzionale alla risoluzione dell’enquête narrativa, è suggerimento ad una questione più universale, come esplicativo di quella “superiorità del metodo dell’invenzione sulla verità, ovvero la realtà delle cose non tanto per come sono ma per quello che significano davvero per ognuno di noi.” Oppure, al di fuori del pensiero astratto, l’esperienza stessa può divenire immagine speculare del testo. Durante la scena raffigurante un’escursione compiuta sull’isola dal protagonista e altri amici, “[…] prima di scendere a piedi lungo il pendio, dopo aver percorso in macchina la strada a strapiombo sul nulla da cui delle rocce paiono volersi staccare e tuffare nel vuoto, Frank pensa ai toni danteschi dei luoghi.” È questa volta il riferimento stesso ad iscriversi nella sensazione, restituendo realtà fisica all’evocazione testuale. In un altro luogo del romanzo poi, è una telefonata con un amico a permettere di nuovo alla finzione di rispondere ai quesiti della realtà: “Conosci La lettera rubata di Edgar Allan Poe?”

Questa tendenza al citazionismo scivolerà in seguito fino a divenire quasi un vertiginoso enciclopedismo: Schwob, Borges, Rousseau, Bachaumont, Voltaire, Grim, Aldo Rossi, Balzac, Vallès, Hugo, Seneca, Malraux, Leonardo da Vinci, Freud e Lacan, Édouard Glissant sono solo alcuni dei “personaggi secondari” la cui voce si mischia a quelle dei personaggi in carne e ossa che occupano il loro spazio fisico nel romanzo. Rosa, Marco, l’anarchico Buonarroti, il libraio Cossu e molti altri, coltivano con il protagonista relazioni che prendono il via soprattutto da un immediato sentimento di amicizia, sentimento che aiuta, grazie alle cure che solo le persone che amano sanno proferire, a capire al meglio la “natura isolana” della Corsica, prima ed unica protagonista del romanzo. L’essere dell’isola è spesso incomprensibile, austero, impenetrabile. I segreti che nasconde si mescolano alle pietre e al sangue, cadono nel vuoto senza restituire il rumore della caduta. Senza grande sorpresa da parte di Frank, che forse l’ha sempre saputo, l’eroe del suo racconto è più reale di quanto la sua stessa storia avesse previsto. Se è vero che tutte le storie sono già esistite, e che a noi non sta altro che riesumarle.