Felice, la Crusca e la pioggia nel pioggeto

Care lettori e lettrici, sono Felice un po’ infelice che non ci siamo sentiti per un po’. Ma le vicende italiche, che vanno in cortocircuito un giorno sì e un giorno quasi, mi hanno imbrogliato quel po’ di logica che ancora il mio cervello maneggia e mi sono curato più nello spirito che nel comprendonio. Mi spiace che in questi ultimi passaggi delicati del Paese è mancato il mio contributo di opinionlider, specie per sostenere il nostro presidente Sergio che ci ha avuto le sue gatte da spellare a mani nude.

Da oggi comunque voglio dedicarmi nei miei interventi soprattutto a temi culturali, e di sprofondamento spirituale, senza divagare nella politica che è già abbastanza divagata e svagata per i fatti suoi.

Così oggi mi sono deciso a scrivere dal mio pertugio all’eccellenza della cultura italica. 

Gentile eccellenza e presidente della Crusca, so che sei il più accademico vigilantes di questa nostra lingua che anche io un po’ sfacciatamente mi arrischio a parlare e a scrivere con gioia e trepidazione. Ti prego quindi di scusarmi se in questa mia commetterò qualche brusco errore di grafica ortolana. Tuttavia farò lo sforzo di scegliere con cura le parole più italianiche, lasciando perdere certe espressioni poco raccomandabili e spero che apprezzerai questo mio sforzo di trasformare in canto di rosignolo il mio solito raglio. 

Caro presidente, della Crusca, oggi il professore Lo Pinto ci ha spiegato come, in sprofondati studi,  voi accademici cruscanti setacciate e frullate lo magma della lingua italiana, dove si appiccicano schifezze d’ogni genere, che nemmeno con lo spazzolino di cinghiale selvatico si possono scollare dalla lingua e dalla testa della gente. E di come setacciate il fior fiore delle parole che ci hanno il diritto di entrare nel vocabolario e con le quali si può impastare il pane del buon parlare, digeribile e nutritivo, assai diverso dalle pagnotte del discaunt che ti lievitano sane sane nella panza. Insomma, caro presidente eccellente della Crusca, a nome personale e di tutti gli scrivitori dilettanti ti dico grazie, ché ci dona conforto la vostra illuminata guida in questa penisola di chiacchieroni distratti che fastidiano l’orecchie. 

Ti voglio quindi inviare una mia poesia, fatta a mano, col duro lavoro della fatica più sudata sulla carta, specie nell’azzeccaggio delle rime che non ci sono. L’ho composta in uno sconfortevole momento di malinconico abbandono e l’ho dedicata a uomo coraggioso del nostro tempo che sta affrontando molti dispiaceri e spero che il sentimento non sia troppo spumeggiante. Come capirai, per la composizione mi ho modellato a un nostro grande poeta di vera aspirazione italica e mi ho scovato tutte le meglio decorose parolone che si possono trovare qua e là. Spero che questa mia non ti risulterà indigesta e purnondimeno, ti solletico a giudicarla in piena libertà, mandandomi, se credi, i tuoi più diligenti consigli e le tue più infauste raccomandazioni.

 

Poesia di Felice Sghimbescio. 

Titolo: LA PIOGGIA NEL PIOGGETO 

Taci? Perché?

Dai tetti

di via Casalofio 

non sento, o meglio, non odo,

(che “sentire” non è roba per te)

quelle umane parole

che la tua lingua 

sbaveggiava aggraziata

a mitraglia sgasata; ma odo

grugniti  sbigotti

di chi bruca le foglie

dell’amara cicoria scaduta

dal carrello caduta.

Ascolta. Piove

dal soffitto bucato,

ma chi l’ha sfondato?

Piove sul tappeto, che cacchio,

sul tuo umano decreto

su Maria di Loreto

sul rosario-amuleto

insomma, è tutto un pioggeto!

 

Piove sulle ruspe e sui rospi

sulla pacchia e la spocchia

sulla mischia che picchia,

piove, che cacchio,

sulle schiette tonsille

di pelosa energia 

e di maschia poesia.

Piove sulle nostre facce d’allocchi,

piove sulle nostre mani vacanti,

sulle felpe ammiccanti,

sui freschi pensieri

che l’anima, 

tracannato l’espresso, 

ritiratasi al cesso,

sgancia novella,

su la favola bella che ieri

t’illuse, che ancora mi prude,

o Capitano.

 

Attento, piove ti dico,

piove sullo smartifon,

il tuo biberon,

e su quei polpastrelli 

che come martelli

sugli schermi stornelli

scacazzavan sul mondo

dei più disgraziati.

Piove sulla coppa a dadini

e sui tuoi soldatini,

sulle poppe d’agosto

sul malloppo nascosto.

Piove sulla carbonella

sul pane e nutella

sulla dolce frittella

sulla tua mortadella.

 

Odi? La pioggia cade

sulle strade bucate

dalle ruspe arraggiate

forse piangi, che so,

o tu godi, mio prode

il mistero ci avvolge!

Tu taci, insomma fai il fesso, 

ma perché trapanasti quel tetto?

Speravi trovare benzina?

Ahi ahi, che tristizia aguzzina!

Piove sul tappeto

su Maria di Loreto,

sul rosario faceto

sul tuo umano decreto,

insomma, è tutto un pioggeto!

 

Piove su le nostre menti vacanti,

sulle felpe croccanti,

sui freschi pensieri

che l’anima

tracannato l’espresso, 

ritiratasi al cesso,

sgancia novella,

su la favola bella che ieri

t’illuse, che ancora mi prude,

o Capitano.

 

Ecco, caro ed eccellente presidente della Crusca, spero che, cascandoti con questa mia addosso, non ti sei storto il muso e graffiato l’orecchi. E spero mi perdonerai con assoluzione cristiana se qualche parola l’ho copiata in punta di piedi e con tutto il rispetto. Mi aspetto, comunque un tuo parere spassionato, possibilmente di bella presenza. In fondo, capirai, tutti ci abbiamo un pallino poetico da inseguire per strada. Almeno finché non incontri un tombino. Allora, amen.

E sono Felice che ti saluta con svolazzo leggero d’uccello pennuto. Ciao, eccellenza.

Felice Sghimbescio