Luigi Ghirri, precursore instagrammer nell’immaginario analogico degli anni 70

di Gianni Cudazzo

Luigi Ghirri. Cartes et territoires – photographies des années 1970
JEU DE PAUME, 1 Place de la Concorde, 75008 Paris
 sino al 2 giugno 2019
All’epoca del digitale, scattiamo più foto con un telefonino che con un’apposita macchinetta. App e filtri di ogni tipo permettono a ciascuno di sublimare ricordi e paesaggi, immortalarsi nei selfie e sottoporli poi ai lifting algoritmici più svariati e originali. Insomma siamo diventati tutti un po’ “fotografi” dallo scatto facile.
Nel visitare una mostra fotografica d’autore a Jeu de Paume, ci si aspetta però d’imbattersi in cliché eccezionali, dalle tecniche sofisticate, con inquadrature e composizioni equilibrate, magari stampate in gran formato e dalla grana perfetta. In quest’ottica, chi visita fugacemente la retrospettiva dell’artista fotografo emiliano Luigi Ghirri (1943-1992) senza già conoscerlo, può restarne sorpreso e forse anche un po’ deluso; risulterà probabilmente più eloquente, invece, per un fotografo autodidatta. Ghirri stesso, geometra di professione, abbandona la geometria nel 1973 e sviluppa la pratica artistica con lo spontaneo stupore e la pertinacia bulimica di chi fa da sé, ma con metodi e parametri ben precisi.
In realtà, “le mappe e i territori” esposti a Parigi e scattati da Ghirri negli anni 70 costituiscono una vera e focale riflessione sulla foto in quanto medium artistico, riunendo, in dieci anni di attività intensa, un’opera omnia unica sulla fotografia nell’Europa di quegli anni. Anzi, nonostante l’aspetto vintage della mostra, influsso dall’invecchiamento dei reagenti chimici di sviluppo e dalla patina del tempo, queste foto restano attuali, iconicamente contemporanee, impregnate di una profonda poetica e tecnicità che rivelano l’aspetto “bilunare” — in straordinaria armonia col tema di questo numero di Focus In — del procedimento fotografico.
“Le mie fotografie sono a colori perché il mondo reale non è in bianco e nero e perché sono state inventate le pellicole e la carta per la fotografia a colori”, così si esprime Luigi Ghirri in un epoca in cui la fotografia a colori non è vista di buon occhio nei circoli artistici tradizionali, a connotazione commerciale, sinonimo di amatorismo, in opposizione alla “serietà artistica” dell’opera in bianco e nero. Ghirri sceglie dunque l’anacronismo d’arte del colore ma va anche più lontano nel suo approccio “senza pretese”, confidando lo sviluppo dei suoi rullini Kodak Kodachrome a un laboratorio fotografico commerciale e stampandoli in formato standard.
Posizionandosi “bilunarmente” tra dilettantismo e arte concettuale, la ricerca di Ghirri segue diversi direzioni, mai lineari, con una grande diversità di soggetti, le sue “Opere aperte”, organizzate in insiemi distinti che vanno dall’osservazione della geografia stampata sugli atlanti, alla foto surrealista che sembra presa a caso.
Amando osservare il mondo dall’esterno, investe, immortalandole, le vie di Modena, Bologna, Carpi, Pescara e periferie, allungando il suo sguardo anche oltre, in occasione delle vacanze, verso territori più lontani che definisce “minimi viaggi”: Amsterdam, Parigi o la Svizzera. Nulla sfugge all’accurato fascino per l’estetica banale del moderno: gli oggetti, i passanti, le nuove architetture (facciate o “sfacciate”), la pubblicità del precedente boom economico che incalza, invade e trasforma le città e la società. Tutto lo ispira, tra l’ironico e l’impertinente. A volte con poesia, verso nuove riflessioni, singolari composizioni e inconsuete figure che aprono la foto a tutte le possibilità e, paradossalmente, rinviano oggi a Instagram in versione analogica (le serie “Paesaggi di cartone”, “Colazione sull’erba”, “Catalogo”, “Vedute” e “Kodachrome” che gli apre le porte della Biennale di Venezia nel 1978, con la mostra “L’immagine provocata”).
Ghirri condivide le sue riflessioni sullo statuto delle immagini e la natura della percezione con una dinamica cerchia d’artisti, tra cui Franco Guerzoni, Carlo Cremaschi, Giuliano della Casa, Claudio Parmiggiani o Franco Vaccari; affinità artistiche impregnate delle contemporanee correnti moderne americane e europee, dalla Pop art, all’Arte concettuale. Così come con la sua compagna Paola Bergonzoni, cofondatrice con lui della casa editrice Punto e virgola nel 1977.
Certo, in Ghirri, la fotografia è innanzi tutto un medium d’analisi che l’artista ama raccogliere anche in diverse edizioni di cataloghi, alcuni diventati “cult” e presenti anch’essi nella mostra.
Nelle foto di Luigi Ghirri, l’attrazione per i luoghi pubblici è complice di un entusiasmo del fantastico, come nella serie “Still Life, il Paese dei balocchi”, chiaramente ispirata alle Avventure di Pinocchio, dove i mondi immaginari si sostituiscono al quotidiano in un gioco di matriosche che rappresentano delle immagini d’immagini.
La fotografia di Ghirri persegue lungo gli anni 70 proprio questa riflessione sulla natura del procedimento fotografico e il suo ruolo strutturante nella formazione della percezione del mondo che lo circonda (serie “Nature morte” e “Slot Machine”).
Ed è così che nell’ultima sezione della retrospettiva curata da James Lingwood, e distribuita in quattro sale, le proporzioni ridotte dell’identità territoriale italiana ed europea diventano, nella serie “In scala”, lo slancio verso un ironico viaggio nella doppia riproduzione del reale. Il parco L’Italia in miniatura di Rimini che riproduce in riduzione plastica paesaggi e monumenti, diventa per Ghirri un ludico luogo per un gioco di specchi che, attraverso la fotocamera, svela allo spettatore l’artificio, rivelando per esteso la dualità dell’umano e della realtà.
Luigi Ghirri, da scoprire o riconsiderare come artista nell’evoluzione del decennio Settanta, per la prima volta illustrato in Francia nella mostra parigina, si presenta oggi come un pioniere originale nella storia della fotografia, un osservatore e poetico interprete della colorata monotonia del reale.
Paradossalmente proprio gli angoli più consueti, quelli canonici, quelli che abbiamo sempre sotto gli occhi e che abbiamo sempre visto, sembrano diventare misteriosamente pieni di novità e aspetti imprevisti. Affidandoci ad alcuni stereotipi consolidati abbiamo dimenticato l’enorme potere di rivelazione che ogni nostro sguardo può contenere.”
Luigi Ghirri
 

 

 
Foto:
 
1-Luigi Ghirri, Salzburg, 1977. Collection privée. Courtesy Matthew Marks Gallery © Succession Luigi Ghirri
2-Luigi Ghirri, Bologna, 1973. CSAC, Università di Parma © Succession Luigi Ghirri
3-Luigi Ghirri, Bastia, 1976 © Succession Luigi Ghirri
4-Luigi Ghirri, Modena, 1972. CSAC, Università di Parma © Succession Luigi Ghirri
5-Luigi Ghirri, Modena, 1972. CSAC, Università di Parma © Succession Luigi Ghirri
6-Luigi Ghirri, Rimini, 1977 © Succession Luigi Ghirri
7-Luigi Ghirri, Rimini, 1977 © Succession Luigi Ghirri
8-Luigi Ghirri, Rimini, 1977. CSAC, Università di Parma © Succession Luigi Ghirri
9-Luigi Ghirri, Marina di Ravenna, 1972. Bibliothèque nationale de France © Succession Luigi Ghirri
10-Luigi Ghirri, Orbetello, 1974 © Succession Luigi Ghirri
11-Luigi Ghirri, Km 0,250, 1973 © Succession Luigi Ghirri
12-Luigi Ghirri, Modena, 1978. CSAC, Università di Parma © Succession Luigi Ghirri
13-Luigi Ghirri, Modena, 1979. CSAC, Università di Parma © Succession Luigi Ghirri
14-Luigi Ghirri, Modena, 1979. © Succession Luigi Ghirri
15-Luigi Ghirri, Copertina catalogo “It’s beautiful here, isn’t it…”. © Succession Luigi Ghirri
16-Luigi Ghirri, Modena, 1973. CSAC, Università di Parma © Succession Luigi Ghirri
17-Luigi Ghirri, L’Île Rousse, 1976. Bibliothèque nationale de France © Succession Luigi Ghirri
18- Luigi e Paola Ghirri. © Succession Luigi Ghirri