Nathalie c’est moi

di Francesco Forlani in collaborazione con Ludovica Stefanelli

Nathalie Guetta era apparsa a tanti di noi una sera, sul finire degli anni Ottanta come una novella Gelsomina felliniana al Maurizio Costanzo Show. Quella che doveva essere una comparsata diventò un ruolo fisso per un anno. Poi ci sarebbero state le serie televisive, tra cui la celebre Don Matteo a creare nell’immaginario degli italiani uno spazio tutto per lei. Anche se per noi rimane un’artista di strada, una tragica ottimista della comédie humaine, Nathalie vive a Parigi e lavora in Italia, è francese ma si sente molto italiana, un’italiana del sud, tiene a specificare. Qui si racconta per la nostra rubrica dedicata agli italiani di qui e di lì. 

Ciao Nathalie ti puoi raccontare con una semplice frase, tipo bonsai?

Una signora divertente e simpatica, spesso in preda alle ansie, alle paturnie ma che cerca di risolvere tutto al meglio.

Per tanti ormai sei italiana.

Si, lo sono diventata. Mi sono talmente imbevuta come una spugna della cultura e dei luoghi che ormai fanno parte di me.

Se dovessi prendere il meglio della Francia e dell’Italia, cosa ti piacerebbe avere per te stessa?

Io conosco meglio le città italiane e molto meno quelle francesi. Lavorando e vivendo in Italia, facendo delle tournée, ero un giorno qua e un giorno là (è il miglior modo per conoscere un luogo). Ma il posto migliore per me è Napoli. è quello che rispecchia di più la mia personalità, nonchè la mia idea di Italia. Il carattere napoletano mi piace, lo indosso molto bene, lo capisco. I milanesi rimangono un enigma per me. Ciò detto, Parigi rimane la mia città. Ma mi piacerebbe avere un miscuglio delle due. Anche se, a volte Napoli la trovo quasi più bella di Parigi.

Tornando un po’ indietro nel tempo, a 25 anni hai fatto questa scuola di circo importante.

Si ho fatto due scuole. Ho fatto la scuola Gruss quando avevo 17 anni, ci sono rimasta due anni e poi abbiamo fatto la stagione invernale al Cirque Bouglione, eravamo tutti nemmeno ventenni. Ci siamo divertiti tanto.

Volevo entrare come clown ma non ci sono mai riuscita. Non volevo fare l’acrobata perché sono molto fifona e qualunque cosa provassi a livello acrobatico avevo paura. Solo la verticale mi riusciva. 

Questa vocazione artistica aveva precedenti in famiglia?

No no assolutamente. Stavo camminando per strada, da ragazzina e a un certo punto mi sono imbattuta in una locandina, di quelle che annunciano l’arrivo in città di un circo, e quando ho visto il faccione di clown, ho detto: “questa sono io”. 

E il teatro?

Una mia amica, che continua a lavorare come regista di teatro, mi ha detto: “Nathalie tu devi fare teatro”. Ho seguito il suo consiglio e ho tentato di entrare all’Accademia di Arte Drammatica. Mi hanno bocciato sia alla prima che alla seconda selezione e allora mio padre, per assecondarmi in questa vocazione ha chiesto consigli a un suo amico che gli ha detto: “l’école de théâtre des quartiers d’Ivry”, quella fa per te. Un’esperienza meravigliosa, ho avuto una formazione molto importante. 

Qual è stato un maestro dei tanti che hai avuto, ad aver lasciato un segno?

Ho avuto un maestro che aveva 72 anni, greco ma che aveva vissuto in Russia. Noi lo adoravamo e mi ricordo che una volta io avevo scelto un passaggio in cui Elvira parlava con Don Giovanni. Io gli recito la parte ma la mia interpretazione non lo aveva convinto, e mi dice: “ma secondo te Elvira che cosa pensa?” e io dico: “secondo me, vorrebbe ritornare a farsi una notte d’amore con lui, però è molto emozionata e deve trovare un sotterfugio per parlargli dell’inferno” e lui dice: “quindi è commossa” e io rispondo: “si”, e lui: “quindi se è commossa balbetta” e io: “quindi devo balbettare?” e lui: “sì, devi balbettare”. Poi è successo un miracolo, tutte le parole hanno preso il loro senso, tutto ha preso una corposità, è sceso un silenzio e io ho capito che questo era recitare. Poi avevamo un altro maestro che ci ha fatto delle lezioni di clown, ci mettevamo banalmente un naso rosso e ci presentavamo, queste lezioni ci facevano morire dal ridere. Un’attività che ho ripreso a Napoli quando appena trasferita in Italia, Gennaro Vitiello, un regista a cui devo tanto, mi ha proposto di fare dei corsi alla Libera Scena Ensemble: “ti ho trovato un lavoro come insegnante di teatro” e io: “ma sei sicuro Gennaro?” e lui: “sì, lo sento che puoi insegnare”. 

Com’è stato il tuo rapporto negli anni con Parigi, e com’è adesso? 

Faccio andate e ritorni ma non ho più contatti, avevo pochi contatti a Parigi a livello di lavoro. Certo conoscevo Raymond Devos perché aveva visto un mio spettacolo, il primo che avevo fatto a Parigi scritto da me, che parlava del circo. Avevo fatto un bel percorso, un miracolo. Avevo Philippe Caubère, Raymond Devos, Roger Blin. Ho lasciato tutto e non ho più potuto riagganciarmi a quello che avevo lasciato. A Parigi non sono un’attrice, non lavoro qui. Professionalmente esisto solo in Italia. Prendo atto di questa cosa, mi sarebbe piaciuto recitare in francese, la mia lingua.

Il tuo libro, Douze en cas de stress, è uscito sia in Francia che in Italia. Che impressione hai avuto nel rileggerti nelle due lingue?

Quando lo scrivevo in italiano pensavo che sarebbe stato impossibile per me scriverlo in francese. Non è che lo avessi dimenticato, ma era diventato basique. Poi quando sono ritornata qui a Parigi mi sono rimessa a rileggerlo e me ne sono riappropriata.

Il tuo libro è un libro di memorie legato a un’esperienza sentimentale importante per te e rimette in prospettiva il discorso del tempo.

Si, della vecchiaia. Ho iniziato a scriverlo a 45 anni, per tre quarti, poi mi sono detta “nessuno lo pubblicherà” ed ho smesso, però ho goduto molto scrivendolo. A 52 anni l’ho ripreso, alla fine l’ho mandato a otto case editrici. L’unica che mi ha risposto mi ha mandato una lettera di insulti di una pagina e mezzo. “Lei come si è permessa di mandarmi un libro così sconcio, che non si capisce niente”.

Hai fratelli e sorelle? Sono artisti come te?

Siamo quattro. Una sorella gemella che non mi assomiglia. Poi ho un fratello più grande di me, giornalista Bernard Guetta che ora è eurodeputato (LREM – liste Renaissance)

e David Guetta che è più piccolo di me di nove anni. 

Mia sorella no, però ha fatto artisticamente quattro figli, capolavori che poi mi aiutano a risolvere problemi con il computer. Sono i miei consulenti informatici. 

Quindi dicevamo che da piccola erano gli amici di tuo fratello maggiore Bernard che tu guardavi con interesse. Perché in genere nelle famiglie i più piccoli guardano gli amici o amiche di sorelle o fratelli più grandi.

Perché Bernard quando vivevamo insieme, nel maggio ’68, aveva 17/18 anni, viveva ancora a casa e c’erano tantissimi giovanotti tutti di sinistra e io, mia sorella e un’amichetta li guardavamo dicendo “guarda questo!”. C’era un certo ambiente a casa nostra.

Magari ti sei trovata Cohn Bendit, Dany le rouge in casa. 

Molto probabile!

Insomma tanto stress nella tua vita.

Sì, lo stress mi appartiene molto. Simone di Pasquale, il ballerino mi prendeva in giro perché nel corridoio ansimavo appena non trovavo una cosa e mi diceva di stare calma. Quest’ansia che si tagliava con un coltello.

C’è stato quindi questo ritorno alla letteratura. Rispetto alla televisione, come modo di esprimersi, di raccontarsi quali sono secondo te le differenze maggiori.

Considerando il fatto che io non sono una scrittrice, questo libro mi è venuto bene, lo dico modestamente. Però non è il mio lavoro fondamentalmente. Invece l’attrice è il mio lavoro. Il ruolo di attrice l’ho vissuto veramente in una seconda tappa della mia carriera quando sono andata a Ballando con le stelle perché non avevo mai vissuto una situazione in cui tu sei in prima persona rattoppata con delle smancerie come uno vuole, ma sei tu. Invece quando hai un personaggio, tu sparisci. Io il primo giorno a Ballando con le stelle, ho detto : “io credo che non ce la farò perché non sono abituata a questo”. E dopo invece mi sono aperta, mi ha fatto bene. Ballando è arrivato per sbarazzarmi delle mie paturnie, non avevo domestichezza con me stessa, con la mia immagine, con la mia voce, con Nathalie. A tal punto che quando ero giovane ero da una parte bloccata, incriccata, e dell’altra completamente scoppiata, queste cose convivevano. Non potevo andare da un parrucchiere come facevano tutte le femmine, toccandosi i capelli, “mi fai questo e poi mi fai questo”. Io mi sedevo e mi immaginavo come sarei stata “da femmina”, era come un richiamo al cielo per fare scendere questa grazia. 

Con Ballando invece mi sono liberata. Poi quasi subito dopo mi han chiamato per Stasera tutto è possibile, l’indomani del giorno del mio 60esimo compleanno mi chiamano e dovevo fare per la prima volta il programma. Non avevo mai visto la trasmissione in televisione, non perché sia snob o perché sia super intelligente, ma perché non ho tempo.

Due domande importanti. Hai fatto anche un po’ di cinema, ti sarebbe piaciuto ad un certo punto passare al cinema?

Ho stra-usato Don Matteo perché noi abbiamo una troupe di prima categoria. Vorrei ringraziare a proposito Alessandro Peci, il nostro direttore della fotografia che non ti fa passare di un millimetro l’inquadratura, professionale, preciso. Ho imparato molto da lui. Solo che si corre di più quando si fa una serie rispetto al cinema, in cui mi hanno detto che si corre di meno. Io ho amato molto di più la telecamera, benché avessi con il mio fisico un rapporto conflittuale, che il palcoscenico. Ma molto di più.

Il rapporto speciale con Terence Hill, Don Matteo, che comunque ha avuto una carriera e una storia particolare dal grande successo insieme a Bud Spencer prima di approdare a questo personaggio più intimo, spirituale. 

Lui com’è sul set?

Quest’anno abbiamo salutato Terence, ho lavorato con lui 22 anni e ora è subentrato Raul Bova. Sono due grandissimi gentiluomini e due persone di cui si sente potentemente lo spessore spirituale. La gentilezza, la delicatezza, un’ironia. Sono diversi ma hanno questo in comune.

C’è stato un passaggio di testimone abbastanza forte. Come hanno reagito gli spettatori al cambio?

Si sono infuocati. Hanno scritto cose tipo “ah! mi taglio le vene”, “non ci riprendiamo più”, “la vita non sarà più la stessa”. Ora la situazione si è calmata, in fin dei conti Raul Bova è simpatico e bello assai.

Ma chi è che vede Don Matteo? 

Una marea di gente. Io prima come una stupida m’immaginavo, le mamme con i bambini o le persone che per lo più se ne stanno a casa. Ma non è vero! Trovi di tutto tra gli spettatori di Don Matteo, infiniti profili. Anche gente che fa televisione si vede Don Matteo e tutti mi dicono “lo guardo perché mi rilassa”.

Tu che parti dallo stress dovresti guardarlo per rilassarti.

Io lo guardo a pezzettini Don Matteo perché con Ballando siamo stati obbligati ad aprire un conto Instagram e molto spesso per due/tre mesi mi dimentico di pubblicare cose. E proprio su Instagram mi rivedo delle scene di Don Matteo. Riconosco che è una serie di qualità, è recitata bene, è scritta bene. Siamo tutti molto coscienziosi, produzione, trucco e parrucco, troupe, attori, tutti con un’estrema coscienza.

Questo è vero. Anche perché dopo tanti anni diventa una storia.

L’unica cosa, è che mi piacerebbe confrontarmi con un altro personaggio. La frustrazione ha fatto sì che ha allargato Nathalie alla passione. Ho detto agli editori di farmi uscire dalla canonica. 

Il fatto di essere di origine ebrea e di incarnare il tuo ruolo.

È una barzelletta. Tu sai che prima ho fatto anche una serie in cui facevo una suora. E quindi c’è questo aneddoto che ogni tanto recitavamo un’Ave O Maria piena di grazia…, e ci fermavamo lì. Un giorno non so perché dovevamo farla tutta l’Ave Maria. Io la comincio, ma facendo finta, sussurrando cose senza senso, al che il regista si spazientisce e dice “ Nathalie, non possiamo perdere tempo, non fare finta di dire l’Ave Maria” e io gli dico “il problema è che l’Ave Maria non la so” e lui “ma non dire cazzate tutti conoscono l’Ave Maria, tu perché non dovresti saperla?” e io “sono ebrea” e lui “sei ebrea?”. Nadia che era di fronte a me, ha detto “calmiamoci tutti, l’Ave Maria, mo te l’insegno io, tu stampatela bene in testa” e io “ce l’ho, ce l’ho” e alla fine ce l’ho fatta.

Per finire volevo chiederti un’ultima cosa. Io ti ho conosciuto con il Maurizio Costanzo Show perché all’epoca era il momento di massimo ascolto, era un momento alto di televisione italiana. Carmelo Bene ci fece un monologo leggendario. In effetti credo che per me, per molti tu ricordassi un po’ Gelsomina.

Sì, me l’hanno detto in tanti.

Il clown che tu avevi inseguito per tanto tempo, di colpo ti ha abitata.

 

Lo sapevo perfettamente, anche se a 30 anni ero fuori di testa, ero talmente ingenua, incredula, mi faccio pietà quando mi rivedo e mi chiedo come sono sopravvissuta. Sapevo perfettamente che non corrispondendo ai canoni sarei piaciuta, ma io pensavo una sera, non pensavo che mi avrebbero tenuta come ospite fissa un anno di seguito.

Ascolti le musiche di tuo fratello?

No, però me le mettono in trasmissione ogni tanto e mi piacciono, quando avevo 25 anni e lui viveva con mio padre aveva già iniziato a mixare. Mio padre, ricordo, mi diceva che non ne poteva più perché mio fratello stava tutto il giorno sulla stessa canzone, la stessa musica, a cui aveva aggiunto le parole “Nathalie est malade, Nathalie” (ride).