Non c’è lotta senza balotta

di Patrizia Molteni

Siamo in periodo di ballottaggi. Da buona emiliana, a me la ballotta fa pensare alla frase che dà il titolo a questo editoriale. La balotta (o balota) è una congrega di amici in festa, festa intesa come stare insieme senza necessariamente distruggersi il cervello con superalcolici e annebbianti vari, se no la lotta poi diventa ardua. 

C’è un’etimologia più accreditata per i ballottaggi elettorali: verrebbe dal toscano ballotta, cioè castagna. Nella Firenze medioevale i “Priori delle Arti” si riunivano nella Torre delle Castagne per decidere sulle tematiche della città. Le castagne venivano messe in un sacchetto a significare il voto dei partecipanti. Al sacchetto che ne conteneva di più, veniva attribuita la maggioranza. Un sistema simile era usato per eleggere il Doge di Venezia, ma al posto delle castagne venivano usate delle balòte, palline di colori diversi che venivano estratte – a caso – da un’urna. Oggi il termine viene usato quando, non potendo decretare una maggioranza, gli elettori sono richiamati alle urne per decretare la vittoria di uno dei due sfidanti. Un sistema un po’ più trasparente delle buste di castagne e soprattutto meno casuale delle palline venete, ma che spesso si riduce, più che a votare un candidato in cui crediamo, a votare per il “meno peggio”, “a naso tappato” o addirittura a non votare. A maggior ragione se il leader del partito che avremmo voluto a guida della città non dà “indicazioni”.  

Al primo turno delle elezioni amministrative, ancora in corso in molte città italiane, molte persone si sono astenute facendo dire a politici e commentatori che era stato sconfitto il populismo: i voti mancanti erano quelli di Fratelli d’Italia e Lega. 

Ormai va di moda attribuire la colpa delle proprie sconfitte a complotti social-mediatici. La Lega ha commentato sullo scandalo di Luca Morisi, social manager che ha creato l’immagine di Salvini tanto da guadagnarsi, lui e il sistema, il soprannome di “La Bestia”. Morisi è stato indagato per spaccio di droga, si è parlato perfino di GHB, la droga dello stupro: proprio lui che sicuramente aveva suggerito al Capitano di andare a suonare al citofono di un tunisino, residente in quartiere non proprio “bene” di Bologna, per chiedere “Lei spaccia?”, il tutto in diretta video e senza garantire l’anonimato del palazzo. 

La Meloni invece è alle prese con le frange di Forza Nuova, organizzazione di estrema destra, dichiaratamente nazi-fascista che si sta cercando di far sciogliere (il “cercando” è peraltro contraddittorio con i principi della Costituzione che considera reato l’apologia del fascismo). 

La leader di Fratelli d’Italia è stata, a suo dire, vittima di un complotto simile. In seguito a un reportage di fanpage.it (nonostante il nome della testata sono veri giornalisti d’inchiesta) è stato mandato in onda un documentario di dodici minuti in cui si vede l’europarlamentare Carlo Fidanza che sproloquia su Hitler e Mussolini in quella che non è altro che un’apologia del nazismo. Risposta della leader Giorgia Meloni: non giudica così una persona che conosce bene, ma vuole vedere le cento ore di girato (a puntate? Peggio di Netflix!). Entrambi i leader hanno commentato soprattutto sul complottismo visto che questi scandali sono venuti fuori appena prima delle elezioni, quindi nell’intento di nuocere ai loro partiti. 

I populisti basano il loro potere sul popolo, che pensano come una massa indistinta di persone a cui possono far credere di essere al di sopra di intrallazzi finanziari, di lotte intestine di potere, di gesta e fatti che vadano contro il loro popolo. L’immagine dei cavalieri senza macchia e senza paura, però, è a doppio taglio: non si può predicar bene e razzolare male perché si innesca immediatamente il tu quoque? del popolo. Che decide di non votare. Non solo, se dovessi farmi operare da un chirurgo, vorrei sapere prima di essere in sala operatoria se magari ha una laurea falsa o se ha ammazzato qualcuno, a che mi servirebbe saperlo dopo? Non si capisce allora perché queste informazioni dovrebbero aspettare la fine delle elezioni, rischiando di far eleggere persone che non sono eleggibili. 

Per fortuna per le elezioni del Comites non ci sono ballottaggi, né complotti particolari. Forse il fatto di stare all’estero ci ha tenuto lontani da questo tipo di comportamenti. Ma dal momento che la natura dell’Uomo politico è pur sempre quella che è, non siamo al riparo da un futuro contagio, tanto per stare nell’attualità pandemica. Allora non facciamoci trattare da “popolo”, esprimiamo il nostro voto, qualunque esso sia, ma esprimiamolo, perché se mai un po’ di popolo c’è, quello di sicuro vota, spontaneamente o sottilmente incoraggiato a farlo. Non è perché non votiamo che non ci sono governi, né Comites, né CGIE. Ci saranno, più o meno legittimati, riceveranno fondi dal governo italiano (che non ci ha abbandonato, anzi consacra parecchi fondi agli italiani all’estero), li spenderanno nel modo che probabilmente non ci parrà opportuno. Avremo però perso il diritto di lamentarci e di gridare al complotto: se non votiamo non saremo rappresentati, punto e basta.