OTTAVO EPISODIO

Non diede nemmeno due vangate che gli squillò il telefono.
“Porca putt…ma che è oggi”

«Si, pronto»

«Pronto Gregorio, caro, come va?»
«Bha bene, se per bene significa restare rintanati in una stanza nuda »

«Bene, ti chiamavo per dirti che ho studiato la situazione e come stanno le cose, considerando anche la somma da ridare al Crodi,  non rimane niente per l’impresa»

«Scusi capo, che vuol dire? Che abbiamo lavorato gratis? L’ultimo mezzo mese è rimasto in sospeso!»

«Mica è colpa mia se è arrivato stò virus-19, qua c’abbiamo rimesso tutti Gregò, non solo tu»

«Ma come sarebbe a dire? Ci sono altri della squadra che hanno bambini da sfamare, già solo questo dovrebbe farla parlare diversamente»

«Che significa, anche io c’ho figli Gregorio»

«Si, ma ha anche gli scaffali del supermercato di sua moglie, male che va lei può sempre attingere»

«Noi operai abbiamo una sola colpa, quella di aver accettato il suo ricatto d’assunzione, sapevamo da quel dannato istante, di aver venduto l’anima per necessità, ma si deve pur vivere»

«Capo lei è uno schiavista e un disonesto, questa è la verità! Non diverso da tutti gli altri sfruttatori»
«Ma come ti permetti, tu non sai…»
«Cosa? Qua chi non si deve permettere è lei, soprattutto di venirmi a dire che non ci pagherà, non pretendo i mesi in cui staremo fermi, ma ciò che resta dei giorni lavorati»
«Ma stiamo a fa la questione per due spicci Gregò, poi lo stato ce metterà qualche spiccio e vedrai»

«Non abbiamo bisogno di due spicci e ne abbiamo bisogno ora, il popolo non deve restare solo. Abbiamo consacrato agli interessi del lavoro il nostro tempo e la nostra salute, non c’ho più la schiena a causa del cantiere e ora che devo fa, devo chiedere l’elemosina?»

«Con la misera cifra che dovreste avere non tirereste avanti che per una settimana e mezzo ancora»

«E con questo? Almeno lei, si metterebbe apposto con la coscienza, lo Stato poi si vede»

«Ah Gregò la lotta di classe è finita da un pezzo, e pure l’assistenzialismo, qui si ragiona coi dindi che si posseggono, non a coscienza»

«Ha ragione, ed è questo il problema, abbiamo lasciato avanzare le persone senza scrupoli come lei, le logiche senza ritegno, abbiamo abbassato la guardia, mentre lo svilimento di una lingua e un sistema economico divoravano dall’interno. Sa una cosa? Io non ritornerò mai più a lavorare per lei, quei quattro spicci come li chiama lei, se li può tenere, parlerò con gli altri operai e la lasceremo solo, così voglio proprio vedere come lo fa il palazzinaro, che non sa nemmneo inchiodà due mazze a croce»

Riagganciò senza concedere replica, senza perdere completamente la calma, anzi era stato molto lucido, era tempo che avrebbe voluto dirgli tutto.

Cercò la sedia, vi si accasciò, era lì, solo, in quel quadrato di terra, in una stanza che non sembrava nemmeno più una stanza, senza amici, senza libertà, senza soldi, senza lavoro, nudo con una morsa al cuore. Una profonda lacerazione faceva emergere tutto simultaneamente, gli errori, i pregi, le virtù, gli amori, gli onori, un mondo di zucchero, che alla prima calda pioggia si scioglieva, chiamando a sé un’enorme formica divoratrice a spazzare tutto, morendo di diabete! In quel preciso momento sul pensiero nichilista della formica, sentì qualcuno gridare da chissà dove un «ce la faremooo», «siiiiii» gridò Gregorio saltando dalla sedia a pugno chiuso. La risposta a quel grido aveva raccolto tutta  l’ energia rimanente in corpo, un istante dopo era nuovamente sulla sedia a rimuginare sulla conversazione.

Restò tutto il tempo seduto,  fissava il vuoto, coi piedi nella terra che pareva un albero piegato al vento. Pensava a come fare Gregorio, ma non trovava risposte, era lì a scavare con i piedi e nella mente, cercava con ogni suo pensiero di trovare una soluzione, ma l’unica cosa che gli veniva in mente, ma respingeva subitaneamente, era fare una rapina. Ma a chi?  Se per strada non c’era nessuno e i negozi erano quasi tutti chiusi? “Ma certo, il supermercato della moglie dello stronzo, sarebbe una bella soddisfazione.” No, non poteva, lui non era così, non lo era mai stato, piuttosto si sarebbe lasciato morire di fame.

A proposito di fame, c’aveva una baratro nello stomaco, s’era fatto tardi, andò  in cucina, prese un frutto dall’esigua scorta rimasta, ritornò alla sedia, sbucciò il mandarino come se aprisse un fazzoletto con dentro qualcosa, gettava le bucce direttamente nella terra, lo stesso coi semi, tanto ormai. Calò la notte sulla terra,  Gregorio spense la luce su quel giorno iniziato con l’urina e terminato di merda e andò a gettarsi sul divano in cucina.