Poeti, navigatori e sante donne di scienza

di Francesco Forlani

In un periodo che ci obbliga a tenere le distanze come esercitare l’arte del ritratto senza infrangere le consegne? Ci affidiamo allora a frammenti, fotogrammi un po’ sparsi ovunque nella nostra memoria cercando di ricostruire quanto appena perduto. Laura Surace è una giovane ricercatrice ma ci piace pensarla come una “ritrovatrice”.

Da quando ne abbiamo sperimentato l’operatività in alcuni eventi legati al forum delle associazioni, possiamo dire che Laura è una donna che cerca soluzioni e le trova, e quando molti si lamentano di non trovare il tempo, lei non se lo fa mancare creando ponti e passerelle tra le diverse attività e non compartimenti stagni come i più solitamente fanno. Intelligenza e creatività, cuore e cervello, innanzitutto al servizio delle comunità che frequenta e contribuisce a far vivere, che si tratti di quella scientifica o di quella sociale e politica, italiana ma non solo, a Parigi. La vitalità mai disperata che riesce a comunicarti con uno sguardo ha permesso di federare altre intelligenze e sensibilità di quella nouvelle vagueemigratoria, per lo più composta da giovani italiani in terra franca, intorno a progetti in grado di realizzare un modo di stare insieme consapevole e appassionato. E qui ci rivela come.

Cosa rappresenta per te la Calabria? Da quanti anni sei a Parigi? Perché sei qui?

Con la Calabria ho un rapporto conflittuale. Rappresenta per me “casa”; tutto quello che appartiene alla mia memoria di bambina. Delinea le mie paure e anche le mie forze più nascoste perché credo che la Calabria mi abbia forgiata, nel vero senso della parola. È una regione complessa e con delle dinamiche particolari, la ricollego a molti aspetti del mio carattere. Impersona tutto ma al contempo niente. Se guardo al mio futuro la Calabria c’è e non c’è, dipende da cosa mi figuro. Da qui, credo che provenga, la mia conflittualità; è come trovarsi in una relazione con qualcuno che sai essere “casa’’ ma che sai che non potrebbe amarti come tu vorresti. Questa è per me la Calabria. A marzo sono quattro anni che vivo a Parigi. Quando ho finito il mio dottorato a Zurigo mi chiedevo dove andare e cosa fare della mia vita da scienziata, ho fatto vari colloqui, anche oltre Europa, alla fine ho deciso di non allontanarmi troppo da casa perché comunque la mia famiglia è in Calabria e fin quando avrò loro l’Europa sarà casa mia. Tra tutti i progetti e i capi che ho incontrato, l’istituto Pasteur e Jim, che è il mio attuale capo, sono quelli che più mi hanno convinto e mi hanno dato la possibilità di andare avanti a sviluppare le mie idee. Poi Parigi è una città incantevole dunque non è stata poi una scelta così sofferta. Sono caduta in piedi, in un posto meraviglioso.

Cosa e quanto ha contribuito alla tua formazione il fatto di essere stata sia in Italia che in Francia?

In Italia ho fatto gli studi, sono stata nel laboratorio del dottor Giovanni Maga ma solo durante il periodo delle tesi quindi bachelor e master. Dalla ricerca italiana ho avuto giusto un assaggio per capire che non sarei potuta restare lì, ma anche una buona esperienza per convincermi sempre più a continuare in questo ambito. Dopo essermi formata a Pavia ho avuto la possibilità di andare a Zurigo che, come il Pasteur, sono centri molto rinomati in Europa e io, che non trovo mai pace, nel senso che sono sempre alla ricerca di qualcosa di più e di nuovo, mi sono potuta confrontare con diversi temi di ricerca: a Pavia mi occupavo di proteine dell’H.I.V., a Zurigo ho studiato il tumore, la risposta immunitaria e i trattamenti della radioterapia, qui a Parigi mi occupo del sistema immunitario nel campo metabolico. Sono argomenti completamente diversi e io ho cercato con tutte le mie forze di apprendere più che potevo di questa materia. Ho imparato moltissimo grazie al modello di studio italiano, molto dalla diligenza svizzera e dalla sua impeccabile organizzazione e anche dall’eclettismo dell’ambiente che ho trovato a Parigi. Ogni luogo mi ha regalato una parte che fa di me quella che sono a livello professionale.

Di quante associazioni ti occupi?

Collaboro con Maria Chiara Prodi per il seminario di Palermo e tutti i progetti riguardanti gli italiani all’estero, faccio parte anche dell’associazione dei ricercatori italiani in Francia (Récif) in cui cerchiamo di mettere in contatto tutti i ricercatori e i professionisti italiani che si trovano qui, faccio parte anche dell’associazione degli ex alunni del collegio Cardano perché quando ero a Pavia sono stata in questo collegio che ho adorato che mi ha insegnato a vivere in comunità e in gruppo come fossimo un grande villaggio.

Le tue esperienze più belle nel mondo della ricerca?

Sono state parecchie. Tra quelle che penso mi rimarranno per tutta la vita credo ci sia la mia prima pubblicazione; avevamo trovato alcuni meccanismi ma all’inizio non si capiva bene come il sistema immunitario reagisse alla radio terapia, siamo riusciti a venirne a capo e abbiamo fatto il possibile per renderlo chiaro alla comunità scientifica, abbiamo ricevuto tanti ‘’no’’ ma poi è andata bene. Credo anche quando è riuscito il mio primo esperimento, dopo svariati danni in laboratorio. Ultima ma non ultima, forse prima: il mio primo studente; cioè il primo studente che era sotto la mia responsabilità, a cui ho dovuto insegnare e spiegare, l’insegnamento ha toccato delle corde profonde nel mio cuore. Insegnare è qualcosa che mi dà moltissima soddisfazione e vedere che le persone da quell’insegnamento ne traggono beneficio mi riempie il cuore.

Ci salverà l’arte o la scienza dai tempi difficili che stiamo vivendo?

Ci salverà sicuramente la scienza, che domande. Chiedi a una ricercatrice cosa ci salverà? La scienza, ma è ovvio!  Capisco bene quanto la scienza sia più tiepida rispetto all’arte, non attira come il calore dell’arte. Io l’arte non la capisco, so cosa mi piace e cosa non mi piace; so che ogni cosa ha il suo posto in questa vita ed è egualmente importante, ognuno di noi coltiva in sé una qualche passione interesse o una competenza e credo che questa sia una forma d’arte, è un rifugio dove tutti capiamo di esistere per ciò che siamo. Ho sempre sentito la necessità di rispondere ai miei dubbi con risposte logiche, questo ha fatto sì che io togliessi tempo al mio lato artistico che per un po’ è esistito: ho suonato il pianoforte, disegnavo, però poi, a poco a poco, ha avuto sempre meno spazio nelle mie giornate perché non è una cosa che amo profondamente, non mi manca il fiato se non lo faccio, ecco. Se ho un quadro davanti me lo vivo goccia per goccia, ma produrla credo non faccia per me. Credo che ci salverà un connubio di arte e scienza in cui gli artisti possono rendere la scienza possibile e gli scienziati possibile l’arte.

Perché tantissimi giovani italiani vengono qui in Francia? Per fare l’uno o l’altro secondo te?

In Francia, come anche in tanti altri posti in Europa che non sono l’Italia, si può trovare quella che possiamo chiamare una prospettiva, e credo che molti partano alla ricerca di questo. Alcuni partono perché non sanno che altro fare, altri perché hanno sentito che lì è meglio, altri partono e tornano, ognuno ha la sua storia. Credo che al giorno d’oggi le partenze e i ritorni siano all’ordine del giorno perché viviamo in un mondo aperto al 100%, o quasi.

Esiste una comunità culturale qui? Ce la racconti?

So che l’italianità in Francia è sentita un modo davvero profondo e totalizzante, di conseguenza tutto ciò che è cultura, dalla scienza all’arte, qui è vissuta in maniera più forte. Quando vivevo alla maison d’Italie insieme a un gruppo di giovani abbiamo dato vita a moltissimi progetti culturali o anche ad eventi che avevano il solo scopo di fare incontrare le persone. Qui a Parigi l’attività culturale è largamente più sviluppata rispetto a quello che ho visto in Svizzera e che è paragonabile all’Italia. La Francia e l’Italia sono paesi di cultura, e in ambo i casi si ha sempre l’opportunità di fruire di una sconfinata quantità di cultura.