PRIMO EPISODIO

Quando Gregorio Quaranta si risvegliò la mattina del 19 marzo, erano le 05:49, il suo orologio biologico lo destò da una notte tormentata. Il giorno prima erano stati registrati due casi di COVID 19, i primi nel suo quartiere. Questo era per lui il primo giorno di quarantena, il primo giorno senza lavoro.

Si rivoltò nel letto diverse volte prima di mettersi in piedi. “Diavolo” pensò, “neanche il mio corpo riesce a capì che oggi non se lavora. Uno dovrebbe sempre dormì se può, stare a pancia in su, se glielo concedono.” Fece colazione come se fosse in ritardo, una tazza di caffè e del pane con una marmellata a limone che gli ricordava, ogni volta, di dover fare la spesa, associava quel sapore al detersivo per i piatti. Dieci minuti dopo, aveva terminato e riassettato il piccolo tavolo di plastica che riempiva la cucina. “E mò che famo?” Andò alla finestra, niente colmava quel senso di vuoto che veniva un po’ da fuori e un po’ da dentro di se, ebbe un senso di nausea. Di certo l’edilizia e il panorama intorno non aiutavano, anzi, si inquietò nuovamente per essersi svegliato: “bel mestiere da cani me sò scelto, vado talmente in automatico che non so’credibile manco per le mie azioni. Con quel capo che mi ritrovo, sempre co’a solita tiritèra: “Fai questo! Fai quello! Forse un ci vediamo stasera! Non sa dire altro l’imbecille, naturale che uno non se mette a pensà troppo, altrimenti a pensà ce se perde er lavoro e la libertà.”

Si stravaccò sulla sedia al centro del soggiorno/camera da letto, a quest’ora solitamente era a spostare sacchi di cemento o ad issare travi a 15 metri d’altezza, invece, quella mattina pesava già come un’intera giornata di lavoro. Si coprì energicamente il volto con le mani, si fece forza e decise di scendere a fare la spesa. Scattò come una molla. Prese mascherina, guanti, disinfettante e il modulo su cui annotare la missione in area contaminata. “Bar, pizzicagnolo, tabaccaio e gazzetta dello sport, dopotutto c’è il sole; nnamo a vedè se se raddrizza sta giornata!”

Risalì a livello strada, ogni volta era un’emersione, in effetti più che scendere, Gregorio saliva per uscire, veniva vomitato da quella porzione di spazio, in cui espletava giusto le funzioni vitali, per ritrovarsi in un frammento che spesso non aveva né il tempo, né la voglia di comprendere. Dopo una giornata di lavoro al cantiere, tutto si desidera, meno che riflettere sui massimi sistemi. Piuttosto le angosce, i soldi, la fine del mese e la speranza di un contratto regolare per uscire dal nero, per rompere quella bolla che lo separava dalla Vita.

Conosceva alla perfezione le abitudini del quartiere all’ora in cui usciva di solito, adesso invece, era un estraneo in un territorio vergine e a tratti ignoto. Arrivò all’incrocio, strade semi-deserte, persone con mascherine e guanti, gli parve di stare in un grosso cantiere con pochi operai, il tempo di girare l’angolo e “no cazzo, no” esclamò ad alta voce, con le mani strette nei pugni in lattice, “il bar è chiuso, ma quando sarà stata l’ultima volta che ce sò entrato? Sicuro almeno due settimane fa, vabbè, vuol dì che il caffè mi basta quello de stamani, tiramm’ annanz’, come dice Tonino al cantiere”. Prese l’angolo con Via Garibaldi, era il deserto, nemmeno i piccioni c’erano in strada, “ma allora a chi tira er pane a signora der primo piano? “Fece spallucce, entrò dal pizzicagnolo, cinquantatre minuti netti di coda per entrare, regole nuove emesse da qualche giorno, distanziati di un metro ciascuno, sembravano tutti tecnici di una centrale nucleare in fila a mensa. Uscì dopo un’ora e dieci minuti, andò verso il tabacchi/edicola in fondo alla strada, non fece nemmeno tre passi che una bestemmia echeggiò, squarciando il silenzio paradossale, che dalla strada si propagava verso l’alto, “pure questo è chiuso! Mò che me fumo, le dita?!” Gli passò pure la voglia di cercarsi un angolo al sole, “senza gazzetta e senza sigarette non c’ha senso, meglio annà a casa”. Allungò per dietro, giusto per fare due passi in più e sgranchire le gambe. Sotto al portone di casa, incontrò Bilotti il banchiere, anche lui con la mascherina, ancora di più, faceva sembrare il suo viso tondo e paffuto una torta con un assorbente. “Salve sig.Bilotti” fece Gregorio. “Buonforno” rispose il direttore, la mascherina da chirurgo gli bloccava la mascella, Bilotti era sempre impeccabile nell’aspetto, la moglie non faceva altro che stirare. La goffaggine che con quella mascherina non riusciva a coprire, sembrava un segno dello stato d’angoscia che stava vivendo. Gregorio lo guardò da capo a piedi, non poté che provare piacere nel vederlo cagarsi sotto. Entrarono, mentre uno attendeva l’ascensore, l’altro scendeva nella sua tana.