Raccontare Salerno

Testo e Foto di Francesca Bellino

Raccontare Salerno dal rione Fornelle significa posizionarsi nel luogo meno salernitano della città, eppure solo da qui la visuale mi sembra completa, esaustiva, veritiera. In questo antico rione del centro storico trovo l’essenza di una città che in altre zone tende troppo alla plasticità. Non è un caso che il poeta di Salerno, Alfonso Gatto, sia nato proprio qui nel 1909 e che qui abbia cominciato a scrivere prima di partire e abitare tante città, da Napoli a Milano, da Firenze a Roma, da Trieste a Bologna, tanto da essere definito “il poeta con la valigia”.
Nel suo eterno errare inquieto tra dimore provvisorie e appartamenti rifugio, Alfonso Gatto, amico di Montale e apprezzato da Ungaretti, qui tornava sempre volentieri. Ed è qui che nacque una delle immagini che più sintetizza la poetica che lo rese uno dei maggiori esponenti dell’ermetismo italiano, quel partire e tornare ai suoi stessi occhi come se lo vedessero partire e ritornare rimando ai balconi per salutarsi.
Le Fornelle è un rione a se stante, poco frequentato dai salernitani, molto più simile ad alcune zone di Napoli, di Buenos Aires, o di Tunisi, che alla Salerno delle “luci d’artista” e delle grandi opere conosciuta dai più, eppure da un annetto è diventato una tappa irrinunciabile ai visitatori che passano in città. Grazie al progetto “Muri d’autore”, realizzato dalla Fondazione Alfonso Gatto diretta dal nipote del poeta Filippo Trotta, il rione – noto per il degrado e l’abbandono – è stato trasformato dal potere restauratore della poesia che oggi adorna ogni palazzo.
Un’iniziativa partita dal basso ha rivitalizzato quest’angolo di città spoglio e mesto seppur autentico, più delle imponenti opere pubbliche firmate da archistar – dal Crescent di Ricardo Bofill alla Stazione marittima di Zaha Hadid, alla cittadella giudiziaria di David Chipperfield -, che restano incomplete, parzialmente funzionanti o inattive.

Cca’ drett alle Fornelle, come dice chi ci vive, versi e graffiti colorati compaiono sui muri all’improvviso, tra lenzuola e tovaglie stese ai balconi. D’un tratto si possono leggere pensieri di Nazim Hikmet o di Allen Ginsberg, di Italo Calvino o Dylan Thomas, di Totò o di Alda Merini, di Visar Zhiti o di Salvatore di Giacomo. Oggi cca’ drett la poesia è per tutti, anche per chi non l’ha mai letta. Ed è anche per chi ci abita come le “fornellesse”, ossia Lucia, Lucietta, Ciaccarella, Veronica, Rita, Alfonsina, Maria Rosaria, Federica, Maria, Anna e Miriana, i cui volti sono stati raffigurati in uno dei murales più grandi. Alle “fornellesse” piace trovarsi circondate da poesia e piace non vivere più in un grigio rione che, prima dell’arrivo dei graffiti, era vissuto dal resto dei salernitani solo come luogo di passaggio per andare a prendere l’ascensore che conduce agli antichi giardini della Minerva, l’orto botanico che durante il Medioevo fu usato a fini didattici per gli studenti della Scuola Medica Salernitana (aperto da martedì a domenica – 9.30/16.30).
Le poesie scelte sono esortazioni semplici, senza intellettualismi, ma efficaci” spiegano il poeta Valeriano Forte e l’artista Pino Roscigno, in arte Greenpino, rispettivamente direttore progettuale e direttore artistico del progetto. Un modo per scuotere le coscienze, come recita anche un verso di Allen Ginsberg – “Il messaggio è allargate l’area della coscienza” – che si trova su una parete di un palazzo. Sarebbe felice di leggerlo Alfonso Gatto convinto che la poesia debba provocarci, “metterci di fronte al bisogno di lotta”.
In ogni angolo di questo rione nascosto oggi si mischiano storie vecchie e nuove ed è forte il richiamo al mare. Si può incontrare un gigantesco Nettuno che sembra dedicare una poesia d’amore di Gatto alla sirena che sta sul muro di fronte affacciata a una finestra con un gattino, oppure un immenso volto di Apollo, pacioccone e con folta capigliatura, che ricorda lo stile di Botero ma si rifà al reale ritrovamento di una testa di Apollo nel golfo salernitano il 2 dicembre del 1930, che suggestionò e ispirò Ungaretti e che oggi è possibile trovare al Museo archeologico della città (via S. Benedetto, 28).
Ma soprattutto si incontrano gli occhi di ghiaccio di Alfonso Gatto. Il suo volto è raffigurato in cima ai gradini Masaniello con la solita sigaretta tra le labbra ed è circondato da versi sulla vita. Il suo sguardo dà il benvenuto a chi arriva nel rione da vicolo degli Amalfitani, un vicolo lungo e stretto che ricorda quei corridoi di vecchi appartamenti dove è trascorsa l’infanzia di molti di noi che si apre su uno slargo luminoso. Da qui i muri cominciano a parlare. Il primo a destra, bianco e lungo, racconta della costiera amalfitana e di “chi vive con il suo niente, una giornata d’aria”.

Sono parole che Gatto, figlio di marinai di origini calabresi, scrisse sulla gente di Amalfi che popolò quest’area, abbellite da un disegno realizzato dal maestro Mario Carotenuto, 95 anni, amico del poeta e autore del suo dipinto realizzato nel 1982 per il presepe del Duomo di Salerno.
Poco distante c’è il vicolo delle Calesse, dove Gatto è nato e dove un secolo fa si concentravano gli artigiani che lavoravano nel mercato delle carrozze, le calesse salernitane piccole e veloci da cui prende il nome il vicolo. Da questo angolino, oggi così diverso da un tempo, situato a pochi passi dal lungomare, dal solarium della spiaggia di Santa Teresa, dal Teatro Verdi, dal palazzo Comune e da via Roma, la strada della movida notturna, si può partire per conoscere la Salerno odierna, sempre troppo oscurata dalla luce delle bellezze delle due costiere, amalfitana e cilentana, e ancora schiava del vecchio sogno di somigliare a Barcellona inculcato negli anni ‘90 dall’architetto catalano Bohigas chiamato a riqualificare la città.
Invece Salerno è Salerno. Non fermandosi alle apparenze della sua vita di provincia un po’ depressa, si scopre che dietro la facciata glaciale e dietro il complesso di inferiorità verso Napoli, Salerno ha una sua originalità e un suo entusiasmo.
Per trovare questa identità nascosta, basta inoltrarsi nel vivace centro storico, andando dalle Fornelle verso Largo Campo, e seguire via dei Mercanti, curiosare tra botteghe, chiese e bar e non smettere di cercare la poesia. In vicolo San Bonosio è possibile fare un’altra tappa gattiana. Qui, dove si trovava la sede della Fondazione Alfonso Gatto, ci si imbatte di nuovo in versi restauratori e illuminanti che si ritrovano anche sulla scalinata degli ex Mutilati – di fianco all’opera di Alice Pasquini -, a pochi passi dall’area pedonale di corso Vittorio Emanuele che conduce fino a Piazza della Corcordia.
In quest’enorme piazza aperta sul mare che sfocia nel porto turistico – stazione d’imbarco per la costiera amalfitana -, è possibile incontrare la storica famiglia di burattinai salernitani, i Ferraiolo che inaugurarono la loro attività nel 1892 e che ancora oggi, nei fine settimana e durante le festività, propongono ininterrottamente le loro commedie a grandi e piccoli. Il loro Teatro di burattini fatti a mano è sempre lì, da quattro generazioni, con storie conosciute e inedite che hanno come protagonista Pulcinella, icona indiscussa del Sud e simbolo del bisogno di giustizia e di libertà, che qui parla salernitano.

Francesca Bellino, scrittrice e giornalista. Nata a Salerno, vive a Roma. Collabora con Il Mattino, Il Fatto, Reset, RadioRai3 e cura il blog Cronache del piacere.
Ha pubblicato Sul corno del rinoceronte (L’Asino d’oro, 2014 – Premio Maria Teresa Di Lascia 2015), Il prefisso di Dio. Storie e labirinti di Once, Buenos Aires (Infinito, 2008), Uno sguardo più in là (Aram, 2010), Sale (Lite Editions, 2013), due saggi sul mito di Lucio Battisti.