SESTO EPISODIO

Gregorio aveva un rapporto singolare con il telefono. Era uno strumento al pari di un coltello da cucina, di un tostapane, insomma funzionale, non lo considerava oltre le capacità che quell’oggetto metteva a disposizione del suo proprietario. Non faceva parte del rito dell’un, due, tre: telefono, chiavi, soldi, che molti fanno sull’uscio. Per Gregorio era: chiavi, soldi, punto.

Il telefono stava dunque su una mensola, coperto da una patina di calce depositata tra i tasti, gli ricordava le vecchie glorie di un lavoro perduto.

Tenne premuto il quattro per far partire la chiamata, i puntini di sospensione sparivano e apparivano. Chiamando…Chiamando…Chiamando…Chiamando…Chiamando…Chiamando…

«Gregorione! Dimmi tutto caro…»

Fu spiazzato dalla risposta, dal tono…e quel caro? Quando mai era accaduto che gli avesse parlato così, che gli parlasse.

«Pronto? Pronto? Pron…»

Riagganciò. Fu colto alla sprovvista, non si era preparato un eloquio preciso. Doveva intavolare un discorso e doveva muovere la sua richiesta di soldi camminando su dei fili sottili. Le questioni in campo erano diverse e andavano tutte a svantaggio del capo, bisognava ribadirle ma non troppo apertamente: “lavoro in nero per te, non ricordo neanche da quando questo implica che siamo legati da qualcosa di più di un contratto, siamo più che estranei, siamo soci. Tu hai una moglie con un supermercato, tra i pochi che ha guadagnato e guadagna, con questa storia della pandemia, solo il tuo salone è grande come la mia intera casa e ti tolgo pure qualche metro. Hai deciso di buttarti in politica, se racconto che non mi hai aiutato ti fanno il culo, legalmente e non!”
“Dimmi tutto CARO?!”…Forse s’aspettava la chiamata? È già preparato, è già pronto a lavarsene le mani?…Non posso arrivare a minacciarlo, perderei sicuramente! Ma lui, lui deve pensarlo, anche solo per poco e pagare, almeno il tempo per togliersi il tarlo.

-Squillò il telefono-

«Gregorio mi senti?»

«Sì sì eccomi, è caduta la linea».

«Carissimo dimmi tutto, rapido però che ho cinque minuti…»

Gregorio si sentì al novantesimo, si giocava tutto in cinque minuti, avvertì quel “cinque” come un segno della sfacciataggine del principale, a dispetto del tono amichevole che aveva usato all’inizio, fece sì che tornasse alla sua postazione naturale di nemico e d’avversario. Quell’approssimazione temporale che profumava di “qualsiasi cosa hai da dire, non vale più di questo”, lo riportò subito alla realtà delle cose. Questo lo avrebbe aiutato.

«Buongiorno, come va?»

«Tutto bene Gregò, diciamo si tira avanti, sembra che questa storia continuerà per molto, col cantiere fermo, le attività chiuse, i clienti aspettano…Ricordi Crodi? Quello della piscina col leone enorme? »

«Certo, sì, il vecchio con la giacca rosa dell’Hotel del Sole»

«Ecco bravo, quello. Dice che all’hotel i fondi ora li utilizzeranno per mettere in sicurezza gli ospiti e che la piscina di questi tempi non è l’investimento migliore. Ma te rendi conto? Qua rischiamo di rimanere senza una lira, m’ero fatto un culo così, per trovargli quella maledetta statua di leone e adesso, dice che non se ne fa più nulla e rivuole l’anticipo dato!»

Nella sua carriera il capo non aveva mai ridato indietro un anticipo, non lo ridiede indietro neanche a una famiglia abruzzese che aveva chiamato per farsi rifare bagno e cucina e sfortunatamente perse la casa nel terremoto del 2006, quei poverini provarono a chiamare per recuperare i soldi ma lui non rispose mai al telefono. Questo Crodi doveva essere più stronzo di lui. Qualche volta al cantiere passava a dare una mano qualche giovane cameriere dell’Hotel del Sole, Gregorio aveva parlato con un paio di loro e gli avevano detto che uno dei figli  di Crodi, era stato in mezzo a qualche affare di cocaina e tutta la famiglia era dentro a quella faccenda, ma solo il più piccolo s’era preso la colpa.

Dunque sì, i soldi al Crodi andavano ridati. Ammesso che quell’anticipo l’avesse davvero dato. Gregorio non si bevve del tutto la cosa, la risposta era stata fulminea, senza sbavature. Forse altri del cantiere avevano già chiamato e il capo aveva avuto il tempo di allenarsi a dire no.

«Che peccato, il lavoro del leone era un bell’affare, contando le piastrelle, lo scavo e tutto il resto Qualche altro lavoro si trova, anzi, dico che andrà anche meglio per noi con le aziende che dovranno ristrutturare, i ristoranti, i bar, e poi ci saranno i controlli»

«Eh Gregò, tu sei ottimista! Qua io son preoccupato di non portare qualcosa in tavola»

«Non è così! Il negozio di sua moglie sta lavorando ugualmente!»

«Ehh non ti credere, qui la gente ha paura ad uscire e in luoghi così a rischio non si avvicina tanto come si pensa».

Adesso sì. Era una trappola, ne era certo. Caro, carissimo e caro al cazzo, era solo la carota che doveva distrarlo dal bastone che invece diceva: “arrangiati fesso!”

«Capisco, capisco…è il momento»

Gli diede per buona anche la favoletta dei luoghi a rischio, figuriamoci se la gente non fa la spesa. E attaccò:

«Chiamavo perché ho avuto un problema serio, purtroppo l’altro giorno ho perso…m’hanno rubato dalle tasche il portafogli con un po’ di soldi dentro e adesso non so come fare, perché non posso chiedere sussidi e quindi volevo chiedere se potesse almeno pagarmi il sospeso del mese di lavoro…»

«Ma te l’hanno rubato o l’hai perso?»

Lo stronzo era già sulla difensiva ma Gregorio era riuscito a salvarsi in corner. Perderlo, come Gregorio aveva fatto, significava in qualche modo essere il solo responsabile della situazione. Quindi doveva vedersela da solo, se qualcuno invece lo aveva derubato, era una vittima, questo gli dava qualche vantaggio.

«No, no, mi hanno derubato tre tossici, minacciato con dei coltelli e frugato nelle tasche, ho rischiato di prendere una coltellata per un centinaio di euro, tipi così sono imprevedibili. Il quartiere è invivibile ormai.»

«Ma come tossici, ho abitato lì in quella casa e non ho mai avuto problemi, è un quartiere rispettabile quello!»

Il capo aveva abitato lì prima di Gregorio, per due o tre mesi. Ci andò perché la moglie lo aveva cacciato di casa, l’aveva pescato per la terza volta con l’amante, per poi riprenderselo non appena le cose col negozio cominciarono ad andare male.

Volle bere di nuovo la favola, questa volta, quella del quartiere rispettabile, quel quartiere non lo era mai stato. Qualcuno poteva dire vivo, dinamico, folkloristico, ma dalla fondazione di Roma, quel quartiere rispettabile non lo era mai stato.

«Gregorio bello, che posso farci se t’hanno rapinato? Mi dispiace, ma capiti in un momento difficile per tutti, non vedi la gente che tira i calci alle porte delle banche, te l’avevo detto io di prenderti quel reddito di cittadinanza!»

Non aveva mai fatto la domanda per il reddito di cittadinanza. Nel suo universo, tutto sommato si considerava un privilegiato ad avere un lavoro e credeva che, forse, qualcuno messo peggio di lui,   poteva averne più bisogno. La verità, è che questo principio andava mano nella mano con la paura di essere beccato dalla finanza, preferiva fare a meno di quel pensiero. Bastava lavorare, eseguire quello che va eseguito, non rompere le scatole a nessuno e tirare avanti.

«Eh lo so, ma non posso farlo adesso»

«Eh si Gregò, tu pure c’hai i grilli in testa»

Ecco fatto, aveva trovato una qualche responsabilità.

«Senti, facciamo così, sta per chiamarmi un giornale locale per un’intervista e non posso occuparmi di questa faccenda ora, facciamo passare una settimana e vediamo. Comunque non credere che qua i soldi crescano per terra. Perché se continua, questa storia del virus, come faccio?»

Scaricato come uno stronzo qualsiasi, eh no…era ora di mettere il tarlo.

«Al giornalista si potrebbe sempre raccontare la mia storia, già immagino il titolo:

“LAVORO NERO: come gli operai senza contratto sopravvivono in tempi di COVID-19”, per vendere di più il giornale, sarà interessato»

Subito però fece marcia indietro, per non essere troppo minaccioso.

«Bisogna dire che lo Stato non ci aiuta…»

Benedetto Stato: parafulmine dell’infamità dei singoli e della miseria di molti.

«Eh ma lascia perdere i giornalisti, sai quanto gliene frega a quelli…»

«Chissà, qualcosa di interessante ci sarebbe invece…»

Il capo tagliò corto con un ciao severo e definitivo, aveva accusato il colpo.

Gregorio salutò, aggiungendo anche un sincero “Buone cose a lei e sua moglie!”

Uscì a fumare nella corte, fiero e ottimista. Vide Bilotti straziato come San Sebastiano dalle buste e dal portone che gli si chiudeva addosso, andò ad aiutarlo. Più di dieci pacchi di rotoli di carta igienica, Gregorio ne raccolse qualcuno con ancora la sigaretta in bocca.

«Bilò ma che ci fai co tutta sta roba?» Domandò con la bocca serrata dalla bionda.

«Ho fatto la scorta, metti che qua continua questa storia del virus, io come faccio?»

Stessa identica lagna del suo capo.

«Bilò mamma mia, devono venì tutti a farla a casa vostra?»

«Ahaha simpatico. Senti ti do uno scudo se mi aiuti a portare su tutta sta roba».

Gregorio annuì, schioccò la sigaretta fuori dal portone, si caricò i rotoli di carta per portarli al piano di Bilotti, che l’aveva comprata, col solo scopo di toglierla a quelli che come lui, non hanno la forza di pensare all’oggi, figuriamoci al dopo.