SETTIMO EPISODIO

Restò a quattro di bastoni ancora qualche minuto, le immagini del sogno andavano via via sgretolandosi nella coscienza. Lasciavano solo il ricordo di un profumo, l’odore dell’erba, le fumose nuvole delle montagne abruzzesi, i rovi dei contadini, la rugiada.

Ed ecco, un cane pisciò sul vetro della sua finestra, assistette al dispetto senza scomporsi, non gridò, non lanciò nulla, tutto sommato assisteva all’evento da una prospettiva rara e privilegiata; vedere il pene di un cane dal basso scomparire in un alone giallo per poi mostrarti il culo, è il fascino della territorialità.

Si svegliò del tutto e si trovò nel cantiere che aveva costruito dentro casa, anche Gregorio era ufficialmente in smart-working.

Il pavimento della stanza era andato, spuntava fuori la radice e l’andamento ondulato del terreno ne prometteva altre, occorreva scavare, rompere quella terra dura, lo strato superficiale era riuscito  a romperlo, ma con immane fatica, bisognava arrivare in fondo a questa storia. Per farlo avevo bisogno di un martello pneumatico e un suo compagno di cantiere avrebbe potuto darglielo.

Ad avere il martello pneumatico era Alfonso, non era il migliore dei colleghi e Gregorio non gli rivolgeva la parola per la maggior parte del tempo. Era difficile tuttavia litigarci, Alfonso era solito cascare in piedi; sulla sessantina, sposato con una figlia che andava a scuola con la figlia del capo, la moglie faceva l’insegnante di religione al liceo e per il suo lavoro consisteva nel ricordare ai ragazzi di aspettare più che potevano a fare sesso, non fumare, non bestemmiare ecc… I genitori erano ancora vivi, statali, pensionati e la madre ottima cuoca e in forze portata fino ai novanta dalle preghiere prima del pranzo e da un’assidua frequentazione della chiesa presso la quale andava ogni santo giorno. Abitavano a Rocca Priora, molto fuori Roma, lì i genitori avevano costruito una villetta che Gregorio aveva visto in foto quando Alfonso domandava consiglio sui lavoretti da fare in giardino. Insomma, 4 entrate, una miniera d’oro agli occhi di Gregorio che non nascondeva mai una certa invidia e un po’ di ribrezzo. Avrebbe potuto anche non lavorare, tuttavia mandava la figlia, che era ormai ridotta al prototipo di una rompicoglioni in una scuola privata, Alfonso cercava di imitare il capo in tutto e per tutto, gli copiava le camicie, i telefoni e aveva cresciuto la sua unica figlia con l’onere di dover diventare meglio di Ginevra, la figlia dello stronzo.

Gregorio avrebbe fatto leva sulla debolezza di Alfonso, non amava dire di no o passare lui per stronzo, lui che amava passare da buon cristiano, solidale, caritatevole, in realtà pensava solo ai fatti suoi e al suo amato giardino.

«Ao Alfò».

«Gregorio! Buongiorno, che piacere sentirti. Come stai caro?»

«Scimmiottava un italiano da call-enter ma nel tono era evidente lo sforzo sovrumano che faceva nel non tagliare i verbi, era formale in ogni momento della giornata, parlava una lingua estranea e Gregorio si divertiva a esagerare col dialetto e con le volgarità quando parlava con lui. Era un modo che Gregorio aveva, per ricordargli che nonostante tutto era un miserabile tanto quanto lo era lui».

«Eh come va Arfò, va che sto chee pezze ar culo. M’hanno rubato er portafogli e co sta situazione la vedo tragica».

«Ah, come mi dispiace Gregorio ma pensa un po’, ma come è successo?»

«Eh dei drogati me l’hanno rubato sotto casa, m’hanno minacciato con un coltello e gliel’ho dovuto dare, quella gente è imprevedibile non potevo sta a rischià la pelle pe i sordi».

«Ma guarda tu che gente, eh ma anche da me ci sono, il figlio di una vicina divorziata, è stato preso dalla polizia con la marjiuana e io ce l’ho vicino, hai capì, con mia figlia che torna da scuola da sola. Stai attento Gregorio, quella gente porta anche malattie. Devi farti controllare!»

«Ao Alfò, m’hanno fregato er protafoglio mica c’ho scopato, che malattie me devono da?»

«Alfonso si irrigidì tramortito dal turpiloquio di Gregorio, rispose semplicemente»

«Eh certo, certo hai ragione».

Silenzio

«Senti Alfò ti chiamavo per chiederti una cortesia, me servirebbe il martello pneumatico per dei lavori a casa».

«Ah, stai ristrutturando? Questo periodo è ottimo per fare quei lavori che non con il lavoro non abbiamo mai il tempo di fare. Anche io sto facendo diversi lavori, stavo optando per un gazebo in muratura e infatti volevo anche farmi consigliare da te».

«Alfò n’hai capito e me me crescono le piante sotto er pavimento, che devo optà? Ho già tolto tutte le mattonelle se mi presti il coso poi in giornata te lo riporto me lo posso veni a piglià?»

«Gregorio ma di questo periodo ? Sei matto ? Ti fanno la multa».

«Hanno detto emergenze o no? Che è questa? Mica posso fa Tarzan. Se me fermano gli spiego la situazione».

«Come vuoi Gregorio puoi passare quando vuoi».

«Oh te ringrazio Alfò».

«Si sentì da lontano la voce della moglie».

«Come? Un attimo Gregorio ti richiamo tra poco».

«Gregorio cominciò a prepararsi, mise gli scarponi e prese la mascherina».

«Pronto?»

«Gregorio?»

«Dimmi Alfò»

«Senti forse è meglio evitare che vieni qui a prenderlo, sai dicono che il virus può restare nove giorni attaccato alle cose e forse quando me lo riporti potrebbe essere infetto, poi mi serve anche per il gazebo».

«Alfò ma fino a una settimana fa stavamo al cantiere insieme, so stato na settimana chiuso in casa…»

«Eh ma sai forse quei tossici che dicevi, mia moglie è preoccupata comunque quindi non vorrei stare a sentirla, mi dispiace».

«Aridaje co sti tossici Alfò, il portafoglio m’è scivolato non ho visto nessuno te lo posso giurà».

«Ah non ti hanno minacciato?»

«No senti, sì m’hanno minacciato. Fai come cazzo te pare Alfò saluta tua moglie».

«Scusami Gregorio».

Riagganciò il telefono, “scusa un paio di palle” si tirò su le maniche e cominciò a scavare.