Un bar-lume di coscienza (di classe?)

A cura di Serena Rispoli

Il testo di Spiro Scimone in scena al teatro Essaïon di Parigi nella traduzione di Jean-Paul Manganaro. Intervista alla regista Maria Cristina Mastrangeli e ad uno dei due protagonisti, Gerardo Maffei.

                             ©Fernando Lorenzana Gàmez

Le note di “Do it do it again” (che altro non è che la traduzione di “A far l’amore comincia tu” di Raffaella Carrà) fanno da cornice ad una scena spoglia e ci trasportano subito nell’ironia tragicomica di cui è impregnato Bar. Dal buio emergono Ninu e Petru, personaggi speculari nelle loro diversità. Petru, solo in apparenza più forte e direttivo, perennemente a corto di soldi e giocatore d’azzardo, Nino, lunare, incapace di emanciparsi da un Edipo ormai cronico. Nell’atmosfera beckettiana dello spazio chiuso di un bar immaginario, che diventa spazio metafisico, i due ci guidano nel racconto di un quotidiano squallido e opprimente, popolato da madri tiranniche, prostitute, boss mafiosi, mogli ingannate e deluse in rapporti inverosimili, alla ricerca spasmodica di un posto di lavoro, ma anche di un posto tout court, un posto nel mondo, di un senso da dare alle loro inutili esistenze. Incapaci di tessere vere relazioni affettive, assillati dalle loro paure che si incarnano in figure autoritarie e in dipendenze da cui non riescono ad affrancarsi,  i due evolvono in una no man’s land dove in realtà non succede niente, riempita solo dai loro goffi corpi e dalle loro parole scarne, cariche di non detti e di ripetizioni nevrotiche in un continuo rimando ad un fuori, un altrove dove scorre una vita squallida, insidiosa e ingiusta, che invano tentano di nascondersi ma che nei loro dialoghi si rivela in tutta la sua inconcludente tragicità. Eppure proprio nella loro fragilità, nelle loro faglie, questi due ci risultano simpatici ed arrivano a toccare corde profonde, grazie alle forti interpretazioni di Gerardo Maffei e Andrea Lanciotti, diretti in modo sottile e incisivo da Maria Cristina Mastrangeli. I due interpreti sono riusciti ad incarnare perfettamente questi due infantili perdenti, che ci inteneriscono e ci fanno entrare in empatia con un universo maschile che sfugge ad ogni tentativo di autocompiacimento e non esita a scavare nelle paure più profonde per mettere in crisi e destrutturare ogni elemento comunemente associato alla virilità. Nell’efficace traduzione di Manganaro il testo di Spiro Simone, scritto vent’anni fa originalmente in dialetto messinese, rivela ancora oggi tutta la sua attualità. Per un’ora il pubblico si lascia volentieri trasportare nei percorsi deliranti di questi due clown tristi: si ride, ci si commuove, come nella migliore tradizione del neorealismo italiano.

 

©Yu Ta (Jutta Sammel Mastrangeli)

Come è nata l’idea di mettere in scena Bar di Spiro Scimone?

MCM Dall’incontro tra Gerardo Maffei e Andrea Lanciotti, che conoscevo entrambi in situazioni diverse: Gerardo come regista, mi aveva diretto in Un petit poisson (Un Pesciolino) di Pasolini, al Théâtre de Belleville di Parigi, nel 2015; Andrea in un altro contesto attoriale. Gerardo è un grande scopritore di testi che riesce sempre a rileggere in chiave attuale.

GM Scimone è un grandissimo autore che non ha certo bisogno di presentazioni. Bar un testo che ho freneticamente proposto e riproposto, viste le sue tematiche, a plurimi direttori di teatro e produttori transalpini, senza esito alcuno. Avevo davvero perso le speranze. Poi l’incontro con Andrea… ed ho subito pensato: lui è Nino! Entrambi abbiamo deciso di affidarci per la regia di questa operazione a Maria Cristina Mastrangeli, di cui abbiamo sempre apprezzato il lavoro.

In che modo hai letto un testo scritto venti anni fa nel contesto attuale?

GM Prostituzione, shit jobs, lavoro in nero, disoccupazione, disturbi psicologici, ludopatia, sessualità compromessa: Bar è da considerarsi come un vero e proprio affresco sociologico di una società occidentale afflitta dalla perdita del lavoro e dei rapporti sociali. Lo ritengo un testo capace di fotografare in pieno la condizione di una generazione, la mia, quella dei cosiddetti millennials. Una generazione senza lavoro, e per questo inconsapevolmente depressa, a causa di un sistema economico neoliberista, sempre più aggressivo, da tempo impossessatosi delle nostre esistenze. Un sistema che è divenuto ideologia, creando false aspettative di vita, non corrispondenti alla reale situazione economica. Grazie a Nino e Petru, chiusi nel loro Bar-Microcosmo, abbiamo la possibilità di respirare e riassaporare una certa umanità, quella degli « ultimi », rimanendone in qualche modo teneramente travolti… E’ proprio quello che ci racconta di percepire il pubblico ogni sera!

Quasi un luogo dell’anima …

GM Nel testo si parla anche di Mafia. Gianni è un mafioso nella cui figura è oggi possibile riconoscere lo Stato, uno Stato totalmente asservito al Capitale. Gianni ha un controllo assoluto sulla sua comunità. Petru è costretto a pignorare tutti i gioielli della moglie per pagare i debiti di gioco contratti con lo stesso Gianni e così facendo si esporrà fatalmente alla rovina. La situazione descritta per me non è altro che una straordinaria metafora della cosiddetta « economia del debito » che sta uccidendo e strangolando la nostra civiltà, alimentando le diseguaglianze. Non credo purtroppo che oggi sussista spazio per compiere alcun tipo di rivoluzione, in grado di cambiare lo stato delle cose. Per noi millennial rimane solo la possibilità di difendere la nostra umanità e quel che resta della nostra cultura. Creando semplicemente spazi alternativi vitali, sottratti all’influenza del Capitale.

MCM Esatto un luogo dell’anima, espresso anche dal minimalismo della scenografia con cui ho voluto riflettere quello del testo: tutte le azioni si svolgono fuori scena. Ogni quadro comincia con un “fatto importante” già accaduto. Lo si evince dal loro dialogo, da quello che dicono, ma soprattutto da quello che non dicono (io lavoro spesso anche sulle parole empechées, il represso, il rimosso, l’indicibile): perdono a carte, sono disperati perché speravano di risolvere i loro problemi ma si sono rovinati. Dopo ogni passaggio di tempo li ritroviamo sempre più in basso. E loro non se ne rendono conto: ad un Gianni se ne sostituisce un altro, perché il sistema vince sempre e loro continuano a vivere in una finta speranza. Il cambiamento è fittizio ed è la cifra della tragicomicità dello spettacolo: all’inizio ci credono davvero, poi fanno finta di continuare a crederci.

Non so se Scimone abbia voluto scrivere una metafora della società – probabilmente sì – però l’autore è di Messina, città caratterizzata da un’economia in cui l’usura e il gioco d’azzardo sono molto presenti, come in molte altre delle città del sud.

GM Quello che risulta tragicamente certo per me, è che la situazione di un paesino sperduto della Sicilia, descritta vent’anni fa, si rivela oggi essere accadimento assolutamente universale, vissuto dall’Europa intera e non solo.

MCM Sì, infatti la mia regia evita qualsiasi colore folcloristico proprio per evidenziare il fatto che Nino e Petru potrebbero essere dovunque. Ho voluto trattare questo testo come se fosse un classico. Ed in realtà è ormai un classico del teatro contemporaneo.

Bar è scritto in messinese. La bellissima traduzione di Jean-Paul Manganaro, rende molto bene l’efficacia minimalista del testo. La regia ci immerge in un’atmosfera un po’ beckettiana in un non-luogo, dove tutto è basato sull’interpretazione di questi due esseri molto toccanti ma mai patetici.

GM Siamo in Francia, ma la drammaturgia è italiana. Resto da sempre convinto che una certa nostra drammaturgia non possa che essere interpretata all’estero da attori del nostro Paese, che pur recitando in lingua straniera, siano capaci di trasferire una certa musicalità della nostra lingua – il dialetto è immaginifico, produce immagini – oltre a saper pensare in italiano, recitando con il corpo e non solo con la voce. O meglio: con la voce che risulti una prosecuzione del corpo. Molti spettatori ci hanno detto che sembrava loro di essere davvero in Italia, nonostante il testo fosse recitato in lingua francese. E’ una magia che solo attori italiani possono restituire…

©Yu Ta (Jutta Sammel Mastrangeli)

MCM Dà un “fraseggio” particolare al francese, che si accompagna anche di una gestualità peculiare. Conoscevo il percorso di Gerardo e Andrea, ma non avevamo mai lavorato tutti e tre insieme. Per la regia sono partita dalle loro personalità che sono estremamente diverse – per scuola attoriale, esperienze professionali, temperamento – e ho imposto loro una sorta di gemellarità. All’inizio Petru è un po’ la guida, poi lentamente i giochi di forza si ribaltano, anche se rimangono entrambi due perdenti. Ho voluto lavorare sull’astrazione, sulla specularità: per questo hanno la camicia uguale. Anche l’idea del suolo bianco che è il colore della morte nella tradizione cino-giapponese, il non-colore, l’insieme di tutti i colori (che quindi si annullano) è un messaggio subliminale.

Da donna, Maria Cristina come hai affrontato questo universo maschile in cui le figure femminili sono la mamma, la moglie, la prostituta.

MCM nella prima versione del dossier avevo scritto: “un texte plein de testostérones vers lequel je ne serais pas allée toute seule”. Ma fin dalle prime letture a tavolino con Andrea e Gerardo mi è sembrato evidente che ritrovavo alcune delle mie ossessioni registiche, tra cui il rapporto tra la storia individuale (con la s minuscola) e Storia collettiva (con la s maiuscola). Ci sono momenti di estrema fragilità in questi due personaggi, che stemperano un po’ il lato “maschio del sud”. Le donne sono come le vedono loro: forti, minacciose. Nei progetti che sviluppo cerco di difendere le tematiche legate alla memoria, alla politica, oltre che tematiche più prettamente femministe, ma credo da regista donna che non ci si debba cantonare a dei soggetti femminili o femministi.  Diventa una finta libertà.

Testo: Spiro Scimone
Traduzione: Jean-Paul Manganaro (Arche ed.)
Con Andrea Lanciotti (Nino) e Gerardo Maffei (Petru)
Regia di Maria Cristina Mastrangeli
Produzione franco-belga: Octogone, laboratoire de création théâtrale (FR) /FORTeRESse (BE)
Lo spettacolo ha ottenuto l’aide à la diffusion de la Ville de Paris (aiuto alla diffusione del Municipio di Parigi)
Fino al 19 novembre
I lunedì e martedì alle 21
Théâtre Essaïon
6, rue Pierre-au-Lard
Paris 4e
01 42 78 46 42 o essaionreservations@gmail.com

Biglietto ridotto 12 euro (al posto di 20 euro) per i lettori di Focus in, codice “millennial”