Uno spritz con Anna

Storie e racconti di un’italo-siciliana a Bordeaux / Estate 2016

di Andrea Fesi

Raccontare la vita di Anna attraverso i suoi ricordi culinari è sempre un piacere. Fin dagli inizi del mio dottorato ho incontrato, dalla Grecia alla Turchia passando per i villaggi più ameni del sud Italia, una moltitudine di persone che mi hanno svelato le loro storie culinarie familiari, i loro segreti e, soprattutto, i profumi dei loro ricordi. 

L’intervista fatta ad Anna, tuttavia, è una di quelle che mi ha colpito di più, per l’intensità, per i colori forti, per i sapori intensi che ha saputo trasmettermi con il suo modo di fare, il suo modo di raccontare avvolgente ed unico. 

Nata a Torino nel 1926, torinese di padre e palermitana di madre, nonché sposata con un impiegato pubblico francese, ha avuto l’occasione di vivere in alcune tra le più belle città europee come Torino, Londra e Bordeaux, anche se la Sicilia si è fissata per sempre nei suoi ricordi. Durante l’intervista mi ha ripetuto più volte “Il gusto è il senso più vicino alla memoria!”. Forse è per questo che, fin da piccola, si è dedicata alla redazione di appunti personali sulle ricette, sulle cose mangiate nei suoi diversi viaggi. Parlare con lei, come tra l’altro dicono anche i membri della sua famiglia, è come discutere con un “taccuino culinario vivente”, con una particolare predilezione per gli anni Sessanta.

Che ruolo ha per lei la Sicilia?

Per me ogni volta che venivo in Sicilia era una festa, una scoperta continua.

Nei suoi appunti ho visto che la pasticceria familiare e quella da forno hanno una grande importanza. Perché?

Basta dirigersi verso il panificio o la pasticceria principale di qualunque borgo e chiedere quali sono i pani ed i dolci tipici di quel paese. Spesso, prima di entrare in una pasticceria, bisogna bussare nelle case.

Come mai non cita quasi mai le pasticcerie con la P maiuscola?

Fin da bambina ero esterrefatta da tre cose: dal lavoro di certi dolci con motivi che non conoscevo, dai colori delle glasse a base di zucchero o miele e soprattutto dalla frase “non è tempo”. Spesso le pasticcerie denaturano questo concetto. È giusto che i pani ed i dolci seguano il ritmo delle stagioni.

Spesso nei suoi viaggi in Sicilia lei indica il luogo, la data, il periodo, la pasticceria ed il panificio. Come mai ricette simili presentano varianti così sorprendenti?

Perché ognuno mette del suo, ogni pasticcere professionale o amatoriale, “ricorda” la versione di quel dolce che la famiglia ha tramandato da generazioni.

Secondo lei, qual è il legame insito tra pasticceria familiare/da forno, la storia e la religione?

È un legame molto forte che è impossibile riassumere in qualche parola. La religiosità e la storia di ogni singola città hanno ritmato, dato significato ad ogni prodotto. Una ricetta non esisterebbe se non fosse lo specchio di un ricordo.  

Come mai parla spesso di “dolci pubblici” e “dolci per pochi”?

Non solo ora, ma da sempre, alcuni dolci fanno parte dei “segreti di famiglia” custoditi avidamente, anche se in qualche caso è possibile degustarli… Se si hanno ancora parenti o degli amici pasticceri particolarmente gentili!

Perché non ha mai scritto un libro?

In effetti i miei nipoti vorrebbero, ma non ho mai voluto farlo. Ho sempre avuto paura che qualcuno potesse snaturare i miei ricordi. 

Le ricette da lei citate hanno un valore sentimentale particolare?

Ognuna. Per questo ho timore che vengano modificate. Sono per me frammenti di giovinezza, piccoli squarci verso un passato che non esiste quasi più. Alcune mi ricordano le mie zie siciliane, altre mia madre. Conservo ancora alcuni utensili che mi hanno seguito ovunque, come i tubi in canna che utilizzavo per fare i cannoli… Quando avevo più forza nelle mani.

In cucina, quali sono i dolci che preferisce riprodurre?

Oggi ne faccio meno rispetto a prima. I miei nipoti vivono lontano. Oltretutto la mia glicemia non mi permette di mangiarne come prima. 

Quali sono i dolci che le evocano i più bei ricordi? 

È difficile fare una cernita ma ne posso citare alcuni: le “Minne di Vergine” che mia nonna mi preparava, con una pasta saporosa e croccante, anche se spesso un po’ bruciata. Poi c’erano i pupi di zucchero del mio prozio Gaetano, in particolare il paladino, che adoravo perché era un maschiaccio come me. Come non citare i cannoli della Signora Clara, durante le estati assolate a Favignana o ancora i dolci della ruota della zia Titina, delle squisitezze agrigentine a base di pistacchio e mandorle, di cui sento ancora l’odore di quando da bambini aprivamo le scatole recuperate nel convento di Palma di Montechiaro. Ma poi, lei sa che alcuni autori siciliani parlano proprio di questi dolci? Mia madre recitava spesso questo passaggio che dopo anni ho ritrovato in uno scritto di Giuseppe Pitré, Palermitano come lei. Posso recitarlo?

Ma certo. Con immenso piacere.

Beddi cannola di Carnalivari. Megghiu vuccuni a lu munnu ‘un ci nn’è: Su biniditti spisi li dinari; Ognu cannolu è scettru d’ogni Re. Arrivinu li donni a disistari; Lu cannolu è la virga di Mosè: Cui nun ni mangia si fazza ammazzari, Cu li disprezza è un gran curnutu affè!

Complimenti! Anche se non sono uno specialista del dialetto palermitano, l’accento mi sembra perfetto! Ma, mi dica, potrò raccontare i suoi ricordi culinari nella mia tesi di dottorato?

Ma certo che può! Anzi, faccia qualche foto del mio taccuino. Mi fa piacere che le mie esperienze vissute restino da qualche parte, anche se so che la mia famiglia e i miei amici ne conserveranno il ricordo… Anche se a novanta quattro anni mi difendo ancora!

Una parte di questo dialogo è stato utilizzato per spiegare la sua storia, di come – da sempre – la pasticceria siciliana faccia parte del panorama dei ricordi di molti che, vittime spesso di diaspore causate da più avvenimenti, ricordano la Sicilia attraverso storie di persone legate spesso a sapori intensi. A quasi cento anni, Anna ha ancora tante cose da raccontare. Spero di poterla rivedere presto. Lei è per me il manifesto di uno dei principi più importanti: tramandare il ricordo di quell’Italia che vive, pulsante, ai quattro lati del pianeta e che crede che la cultura alimentare italiana sia uno degli elementi fondatori dell’ “italianità”. 

Andrea Fesi è professore di Lettere Classiche, dottore specialista in Storia dell’Alimentazione (Paris Sorbonne, Académie de Versailles) e vice delegato dell’Accademia Italiana della cucina, Parigi Montparnasse.