VENTINOVESIMO EPISODIO

La scatola con le monete era sulle gambe di Gregorio, tintinnavano al suo interno ai sobbalzi dell’auto, Matteo fumava tenendo la sigaretta con la sinistra, lato finestrino. Il traffico relativamente scorrevole, accompagnava i due in direzione del ghetto.

«Allora, come è che alla fine ti sei ricreduto?»
«Non è che mi so’ricreduto, te l’ho detto, ce dovevo pensà!»
«Piuttosto, hai detto al tipo, quanto vogliamo per le monete e il medaglione?»
«Certo, sin dall’inizio della telefonata, non ho lasciato spiragli alla trattativa, un milione e trecentomila euro in contanti, non un piccio di più, non uno di meno!»
«Hai portato qualcosa per metterci i soldi dentro?»
«Per un milione e trecentomila euro manco ‘na valigetta ce lascia?»
«Ma che stai al negozio Gregò? Mò come famo?»
«Tranquillo, sto scherzando Mattè, ho preso na’sacca»

«Appena conclusa la vendita, andiamo a prendere una cosa da bere e poi, te porto a cenà, so un posto, dove fanno dell’abbacchio a scottadito, da leccarsi i baffi per quinnici minuti, tanto che è bono»
« Ecco, siamo quasi arrivati, mo ‘a macchina ‘a metto proprio là, che dici?»
«A volo lo devi prende, prima che quello col Mercedes se lancia, lo vedo interessato, accelera accelera, va»
Parcheggiarono con una manovra eseguita alla perfezione, pochi passi ed erano nel ghetto.
C’era aria tranquilla, si sentiva l’acqua della fontana delle tartarughe scorrere placida, pochi assembramenti di persone, più di piccioni. Superarono la fontana, entrarono in Via Della Reginella.

«Qual è l’indirizzo Mattè?»
«M’ha detto Via Della Reginella 28»
«Eccolo là Mattè il 28, ma non può esse, prima di tutto ce sta il 28 dopo il 27 e com’e, non vanno i pari da na parte e i dispari dall’artra? Qua seguono, e poi il negozio è abbandonato, nun me pare ce sia qualcuno, ‘nnamo a vedè»

Un vecchio negozio di libri, foto e cianfrusaglie varie, la vetrina non vedeva una goccia d’acqua dall’ultima pioggia, i due, con i visi attaccati alla vetrina cercavano d’intravedere qualcosa. La porta s’aprì, un tipo sulla sessantina, portati male, sciatto, con un maglioncino verdone ripiegato su se stesso due tre volte, occhiali, montatura doppia con asticella avvolta da nastro adesivo, capelli brizzolati e baffo ingiallito dal fumo.
«Salve, dissero in simultanea, ci scusi, stiamo cercando un indirizzo, ma sicuramente ci saremo sbagliati»
«Scusi, quale è l’indirizzo?»
«M’hanno detto Via Della Reginella 28»
«Questo è il 28 di Via della Reginella, non vi sbagliate. Avete un appuntamento alle quattordici!»
«Come fate a saperlo?»
«Siete nel posto giusto, entrate, andate in fondo e prendete la scala, una volta su, proseguite fino in fondo al corridoio, superato il ballatoio troverete un’unica porta, bussate, vi aspettano.»

Matteo e Gregorio si guardarono increduli, avanzavano in un magazzino buio e odorante d’umido, c’erano luci soffuse e quella naturale proveniente dalla vetrina, s’affievoliva, già dopo qualche metro percorso. Arrivarono in fondo, passarono scansie piene di tutto: libri, dischi, stampe, lampade, cartoline, accumulato, più che ordinato per la vendita. Una scala a chiocciola di ferro dai gradini forati, doveva essere la direzione, dopo tre rotazioni, smontarono in un altro tipo d’ambiente, come se quello appena attraversato non gli appartenesse.
«Mattè, ma addò cazzo m’hai portato? Ma è sicuro sto contatto che tieni?»
«Certo che è sicuro, è un grande collezionista, un pezzo grosso dell’Opus dei, se lo può permette de posà i sordi»
«Ma allora perché tutta stà manfrina del bugigattolo? Non poteva venì lui, ma soprattutto nun se poteva entrà da un portone normale, ce l’avrà pure n’ingresso sto palazzo, no?»
«Gregò quante domande, che ne so io, il tipo m’ha dato l’indirizzo e io l’ho segnato, l’altra volta ce semo visti in un bar!»
«Questo deve esse il ballatoio che diceva il portiere, siamo arrivati allora?»
«Ecca allà a’porta, pare l’ingresso a San Pietro, bussa tu và!»
«Gregorio bussò»
Attesero, sentirono dei passi giungere dall’altro lato, aprirono.

«Buongiorno signori, siete attesi, prego accomodatevi»
Il maggiordomo chiuse il massiccio battente e avanzò per poterli guidare, in quell’appartamento museo: dipinti enormi, arazzi, tappeti, mobili intarsiati, lampadari di cristallo, un camino dalla bocca enorme, un piano a coda e poi libri e libri che correvano tutt’intorno le pareti. In quella casa, i passi venivano assorbiti dai grandi tappeti e dalle guide nei corridoi. Il maggiordomo arrestò il passo, bussò di nocca, una voce dall’altro lato rispose: «avanti», il braccio del maggiordomo si distese spalancando l’uscio, invitò ad entrare, richiuse alle loro spalle.

Controluce lo sguardo s’offuscava e la persona di fronte appariva sagoma, si confondeva con il clima museale della casa.
«Salve, prego accomodatevi signori. Posso offrirvi qualcosa, un whisky? Un caffè? Dell’acqua?»

«Due whisky andranno benissimo», Matteo scelse anche per Gregorio, non gli lasciò il tempo di riflettere. Ci voleva qualcosa di forte per sostenerlo. Non si va tutti i giorni a vendere monete antiche, a quella cifra poi.
«Caro Matteo, è lui l’amico fortunato di cui mi parlavi, piacere d’incontrarla signor…?»
«Gregorio va bene, nessun signore grazie, e lei?»
«Principe Quinto Valerio Massimo. Ha portato spero, il motivo del nostro incontro?»
«Eccolo qui», tirò dalla sacca la preziosa scatola.
La mise sul piano rivestito in cuoio della scrivania.
«Spero non sia una perdita di tempo, se è vero ciò che m’ha anticipato Matteo, lei ha trovato l’unico superstite del medaglione di Massenzio, vale a dire incredibile, un evento unico nella storia»

«Caro Principe, non vedo perché sarei dovuto venire altrimenti nel suo museo, nessuna perdita di tempo, apra la scatola e vedrà con i suoi stessi occhi, la meraviglia di cui parla»

Con una smorfia sul volto, il Principe afferrò la scatola a due mani, la tirò a se, alzò il coperchio e la smorfia si trasformò in meraviglia. Gli occhi gli s’illuminarono dell’oro del medaglione. Il Principe, era abituato ad osservare capolavori, ma stentava a credere a ciò che vedeva, «è davvero lui», diceva incredulo, «è stupendo, guardi qui Gregorio, la precisione dello stampo sul pezzo irregolare d’oro, le merlature, le incisioni»
«Le altre monete?» Chiese Gregorio per sapere.

«Le altre monete, mi fido, le ho viste già, è il medaglione ad interessarmi innanzitutto»

«D’accordo, come preferisce. Matteo le ha detto quale è la cifra per averlo?»
«Si, ho preparato l’intera somma, un milione e trecentomila giusto?»
«Bene» fece Gregorio soddisfatto.
«Seguitemi, c’è il whisky e la valigetta ad attenderci nel salottino accanto»

Il salottino era un ambiente rivestito con carta da parato damascata, rosso su rosso, quattro poltroncine singole in velluto e un tavolino in vetro, un ambiente di transizione, di rappresentanza. Gregorio s’accomodò, prese la valigetta, fece scattare le sicure, lentamente alzò il coperchio, anche a lui s’illuminarono gli occhi. Erano davvero tanti, non l’aveva mai visti tutti insieme, Matteo s’avvicinò a scrutare e propose di contarli. Il Principe lo guardò, fece segno d’accomodarsi, «sono duemilaseicento banconote da 500 euro, ventisei mazzette da 100»
«Se lei permette, mi sbrigo in un attimo caro Principe, il tempo del whisky  e li avrò contati tutti, poi toglieremo il disturbo»
«Lei Gregorio, cosa farà ora, se non sono troppo indiscreto?»
«Credo che reinvestirò la cifra in un progetto, creare un’alternativa migliore per chi non l’ha avuta»
«Interessante, lei è un filantropo?»
«Non credo, piuttosto un uomo, un essere umano, ma non voglio annoiarla con discorsi filosofici e spirituali, mi dica, piuttosto lei, Principe, cosa farà del medaglione? »
«Lo terrò per la mia collezione di pezzi unici, per ammirarlo. Quando Matteo mi chiamò, stentavo a credergli, ancora ora stento a immaginare che sia qui, nella mia scrivania, sono davvero molto emozionato»
I due passeggiarono sorseggiando e discutendo lungo il piccolo rettangolo, un balcone alto illuminava diagonalmente il fondo della stanza, Matteo terminò di contare, sotto gli sguardi fissi dei personaggi mitologici dei dipinti intorno. Svuotò la valigetta, mise il tutto nella sacca di Greg, richiuse la valigetta lasciandola sul tavolino.
«Ci sono tutti?»
«Certo signor Principe, mai per mancanza di fiducia, ma i soldi so’soldi»
I tre si strinsero le mani sull’uscio del cubicolo, il resto dell’appartamento lo percorsero con il maggiordomo. Lo sentirono parlare per la seconda volta quando aprì la porta, «signori, buona giornata»

Gregorio e Matteo ripercorsero a ritroso il tragitto fino alla bottega ombrosa, ridiscesero la scala a chiocciola, ma del portiere nemmeno l’ombra, arrivarono all’uscita. Una volta fuori, si sentirono come usciti da una grotta, sia il negozio, sia l’appartamento, erano posti assurdi.

«È fatta amico mio, grazie», disse Gregorio abbracciando Matteo, «senza il tuo aiuto non so proprio cosa avrei fatto»
«Non lo dire Gregò, tu avresti fatto lo stesso»
«Forse, di certo non avrei saputo aiutarti a vendere un medaglione tutto d’oro»
«Non pensarci, andiamo a festeggiare da qualche parte, cerchiamo un baretto tranquillo»
Il sole riscaldava il pomeriggio, i due, rimasero fino a tardi a brindare e scherzare, per Gregorio quella vendita aveva fatto cadere alcuni pesi. Era molto che non prendeva una pausa dai pensieri. La sera portò Matteo a gustare l’abbacchio promesso, non senza qualche sorpresa, gli fece trovare una busta sotto al tovagliolo con dentro centomila euro.
«Sei forse impazzito Gregò?» Esclamò Matteo appena vide tutti quei soldi.
«No, questo è solo un pensiero per la nostra grande e lunga amicizia e poi, non è nemmeno il dieci per cento della vendita che grazie a te ho concluso, voglio che li tieni, guardati dal spenderli tutti subito, anche se non dovrei essere io a dirtelo»
«Ma che sei scemo, ti sarò grato per tutta la vita Gregò, spero di poter fare cose buone di questi soldi, grazie amico mio»
«Non ringraziarmi Mattè, piuttosto voglio dirti io cosa farò dei soldi, vuoi saperlo? Vorrei soprattutto anticiparti, che anche tu sei parte del piano, dall’inizio, non potrai dirmi di no, ti voglio accanto in questa avventura, ce stai?»
«Non so ancora di cosa si tratta, ma ti dico già che ti seguirò fino in capo al mondo. Dai, raccontami»

I due trascorsero tutto il tempo a mangiare e conversare piacevolmente, furono gli ultimi ad uscire dall’osteria, barcollanti ma felici, ridevano e si trattenevano, vista l’ora tarda e l’eco.