VENTISETTESIMO EPISODIO

Gregorio seppe cosa fare del medaglione aureo di Massenzio. “Ma certo”, gridò saltando giù dall’albero, con un’energia pari a quella del mattino, iniziò a raccogliere fagioli, zucchine, lattughe, melanzane, more, addirittura si mise a scavare patate, era rinato. Riunì il raccolto, andò in cucina, sistemò tutto nei sacchetti di carta del Killer, una decina di razioni miste di verdura, ad ognuna aggiunse un pacco di pasta. S’organizzò per uscire, giunse a livello strada, la bici col carrello lo attendeva, stipò il carico e partì arzillo sui pedali, in fuga verso il traguardo: Lungotevere Portuense.

Era ormai all’altezza del Sublicio, prese per la banchina e tirò dritto alla ricerca di qualcuno, vide un uomo, era seduto a fumare sulla sponda era lui, Bruno. Gregorio si sbracciò dalla bici, “Hei Bruno, come stai? Che piacere vederti!”
Bruno si girò a quell’entusiasmo, vide Gregorio con il rimorchio.
«Ah sei tu, sto bene, stiamo bene, tu che dici?»
«Ho avuto un nuovo raccolto e ho portato della lattuga che se scioglie in bocca, poi c’ho messo un pacco de tubbettoni, questi te li fai coi fagioli freschi che pure ce sono, tiè prendi!»
«Grazie Gregò, a roba dell’artra vorta era veramente ‘bbona, abbiamo pure cucinato tutti insieme. Non era mai successo!»
«So proprio contento, per il resto? Ce so novità?»
«Che novità Gregò! Qui ogni giorno è sempre o’stesso, mò che ce penso una cosa nuova ce sarebbe»
«Che?»
«È successo che è arrivata na’famiglia al fiume: padre, madre e du’pischelli, l’arto giorno, so’venuti fuori dal nulla, come i sorci!»
«Due pischelli? E dove se so’sistemati?»
«Se so presi lo spazio dietro al canneto, così stanno riparati e nascosti, c’hanno una tenda, ma non li si sente e poco li si vede»
«Se sa qualcosa de loro?»
«A me, l’ha detto er dottore l’artro giorno, quanno so’annato a misurà ‘a pressione»
«E che t’ha detto?»
«C’ho la minima un po’bassa!»
«Intendevo che t’ha detto su a’famiglia»
«E che m’ha detto, lui, il padre teneva bottega de sarto a Trastevere, dietro al Callisto, nel giro di tre mesi ha dovuto chiude. A’quarantena ha gambizzato molte famiglie, mentre i politici parlano e giocano co’le vite degli artri. Poi c’hanno pensato gli usurai a mangiarse il resto, e mò sta qua, co’ moglie e due pischelli a seguito!»

«Che storia, non possono cresce mica per strada? Quanto c’hanno i pischelli?»
« cinque, sei anni!»

«Cinque, sei anni? Povero padre, come se deve sentì. Mo vado e glie porto due tre sacchetti de ortaggi, anche se è niente. Vabbè ce se vede Brù, a presto!»
«Vai Gregò và e grazie ancora!»

Gregorio spinse arrabbiato sui pedali verso il canneto, quella storia l’aveva punto nel vivo, non accettava che dei piccoli dovessero crescere per strada, proprio non ce la faceva. Spingeva sui pedali e borbottava,” nessun bambino merita de passà ciò, de perde l’infanzia così. Nessuno ha il diritto de portargliela via, porca puttana di questo mondo, ma che bestie di gente siamo?”

Il canneto era fitto e s’alzava poco oltre il fianco della banchina, lì dove il fiume si stringeva e i detriti naufragando erano ansa, Gregorio scavalcò il muretto, le sterpaglie calpestate indicavano un sentiero. S’immerse nella notte, acuì i sensi nella piccola selva paludosa, doveva esserci uno stagno, una pozza, qualcosa del genere, perché il gracidio delle rane era forte, i grilli facevano eco e le zanzare  le braccia. Scorse la tenda, era in fondo al sentiero, della famiglia nessuna traccia, prese cinque sacchetti  e cinque pacchi di pasta, li mise dinnanzi alla tenda. Inforcò la bici, prese a pedalare sollevato dal sellino per darsi un po’di spinta. Arrivò alla studio mobile del dottore, provò a chiamarlo:” Gaetanoo, Gaetanooo”

«Chi è?» fece uscendo con mezza testa fuori.
« So’Gregorio, t’ho portato ‘e verdure! Stavi a dormì dottò?»
«No,  che dormì e dormì, se non se fanno le tre, non prendo sonno, stavo  a legge qualche riga così pe’evade»
«Come stai Gaetà, non è che pensi agli altri e te trascuri tu, te vedo più fino dell’urtima vorta?»
«Che dici? Stò na’bellezza, guarda qua, e po ‘a cintura è sempre al terz’ultimo buco», fece un giro su se stesso con un sorriso soddisfatto.
«Devo dì che visto alla luce, pare che stai ‘na favola, me so sbagliato prima, mezzo nel buio! Senti, vengo dal canneto, ho saputo da Bruno della famiglia del sarto coi pischelli»
«Purtroppo è vero, so’arrivati qualche giorno fa, ma non li senti e non li vedi, secondo me il padre se more de vergogna a sta pe’strada, ce se deve fa l’abitudine, all’inizio è dura!» Prese due sedie, di quelle pieghevoli, le aprì a ridosso del muro, a preparare una scena in cui attori ed argomenti sarebbero stati più che reali, tristemente reali. Gregorio s’accomodò, Gaetano pure e gettò una mano tra le buche del muro, cercava e smuoveva, Greg dopo un po’:«Dottò ma che o’ stai a fa partorì stò muro?»

Gaetano scoppiò a ridere, una risata ingolfata, con cui mostrò fiero il nascituro.

«Guarda qui che bel pischello», una bottiglia con qualcosa di scuro, «questa ce l’ho pe’gli amici, è nocillo, me lo ha regalato uno de Termini, un matematico, i numeri lo hanno dato un po’alla testa ma è ancora forte, seppure diabetico, gli  ho fatto una visita a domicilio, alla stazione.
Versò in dei bicchierini, tirati fuori allo stesso modo della bottiglia.

«Ma come ci si ritrova da un momento all’altro per strada?»
« Gregorio bello tu sei nuovo, molte cose non le puoi sapè, ma le puoi capì. Il presente, oltre al luccichio della merce, produce un’umanità di scarto, destinata ad un inferno precoce, ma questo già lo sai, ora: molti possono essere i motivi per i quali uno arriva alla strada. Alcuni sfuggono da soprusi e violenze domestiche, altri come me, vengono da crisi generate dal lavoro, altri da dipendenze varie, droga, alcool, gioco d’azzardo. Sai quanti, se so giocati tutto quello che avevano? Soldi, auto, case coi figli dentro, poi ce so’ i matti e quelli che c’hanno piccoli disturbi, ma non hanno nessuno a prendersi cura di loro. Tutte le storie, se vai a vedè, so’accomunate da sofferenza, emarginazione, solitudine. Dalla rabbia, d’essere dannatamente ultimi. Di storie ne conosco a decine, perché qui da me passano tutti, tutti prima o poi stanno male!»

«Sai cosa più mi spaventa di queste storie Dottò? La normalità, la vita che si conduceva, quella quotidianità vissuta. Chi pensa mai, di potersi trovare un giorno per strada, anzi, pensiamo sempre che chi finisce per strada, lo fa per sua scelta, ma non è così!»

Gaetano tirò fuori due sigarette, ne mise una tra le labbra, l’altra la porse al nuovo amico, attinsero dallo stesso fuco con una leggera curvatura dei corpi, per poi ritornare incollati agli schienali. C’era un’aria quieta, lo sciabordio del fiume e qualche cane randagio in lontananza, ma si sa, quelli vanno di pari passo con le notti.

«Sai quante stronzate ipocrite, perbeniste e borghesi sento in giro Gregò? Quante meschinità, la più grande? Che il barbone è in questa condizione perché vuole restà per strada, gli piace vive così, ed è solo sua la colpa, proprio come dicevi tu prima. Perché non si cerca un lavoro come tutti? Ma te pare a te?!»

«È un problema d’ignoranza e d’indifferenza Gaetà, perché le persone non vogliono vedè, per egoismo, per paura. Accettare nel profondo la possibilità di poter vivere così, significa che ognuno di noi appunto, è esposto al pericolo della miseria e alla perdita del proprio status. In fondo, ogni persona costretta a vivere per strada, mette alla prova la capacità dell’altro di rispondere umanamente. La vera civiltà, si misura dalla quantità di persone che vivono in miseria. E ad oggi sono ancora tantissimi. Una società come la nostra, produce spreco prima che merce, ogni giorno, si butta una buona parte di prodotti alimentari e ci sarebbero a disposizione migliaia di doppie e triple case, ospedali, caserme, strutture in abbandono che potrebbero essere riutilizzate per chi ha meno, per dei bei progetti sociali, pensa già solo alle proprietà del Vaticano che non vengono usate e su cui non pagano nemmeno tasse.

«È vero, leggevo qualche tempo fa, di alcuni analisti, parlavano di povertà strutturale al sistema, in pratica: una parte della popolazione è costretta a vivere in povertà estrema, perché è necessario al lato opposto della medaglia. Ma come si fa a parlare di necessario? Quando i termini del discorso sono vite umane? Abbiamo accettato l’inaccettabile, rinunciato ai diritti sul lavoro, rinunciato alla partecipazione politica, all’amore compassionevole, solo l’assenza di compassione può rendere passabile una giustificazione del genere. La nostra società è ingiusta, disuguale, i giovani crescono nella menzogna del successo e della ricchezza, ma è solo vento che spazza i semi di un futuro migliore»

Gregorio si alzò, andò alla bici, prese via gli ultimi quattro sacchetti di verdure e di pasta e li lasciò al dottore.

«Per te questi qua, al francese daglielo tu tiè, prima so’passato alla tenda ed era tutto chiuso, due te li lascio in più, così li dai a qualcun altro che viene a visita!»

«Grazie assai, stai sereno ce penso io, mò annamoce a stenne che s’è fatta ‘na certa»

«Dottò, ritorno presto. Non vi lascio soli, promesso! Questo è il mio numero di cellulare, per qualsiasi cosa, chiama!»

«Grazie Gregò, stammi bene pure tu e nun te preoccupà. Buonanotte!»

«Buonanotte Gaetà».

La bicicletta scomparve lungo il fiume, dopo il chiarore dell’ultimo lampione.