VENTUNESIMO EPISODIO

La notte non passò facilmente, la chioma del mandarino frusciò più volte a causa dei giramenti di Gregorio, tutto fu pesante, il respiro, la coperta, gli occhi, il cielo, tanto che al risveglio si sentì come venuto fuori da un incontro di box, dove naturalmente aveva avuto la peggio.
Rimase sveglio a ripassare i sogni fatti, fissando il soffitto della stanza, aveva sognato di scalare una montagna in solitaria, a mani nude, senza corda e ogni volta che provava a guardare giù le gambe gli si congelavano ed il passo successivo diveniva insormontabile.  Non ebbe scelta che finire quella scalata, si ritrovò in una radura verde brillante, soleggiata, con un unico albero al centro, un acero rosso che sembrava ardesse nei riflessi del sole. Rimase fermo a guardarsi intorno, oltre la distesa con l’acero, altre montagne circondavano quel luogo, c’era pace e attesa di qualcosa. Mosse i primi passi come l’uomo sulla luna nella notte del 20 luglio del ‘69, s’avvicinò all’albero, vide una scritta incisa sul tronco:

L’unico modo di conoscere davvero i problemi è accostarsi a quanti vivono quei problemi e trarre da essi, da quello scambio, le conclusioni.

Scosse la testa, non si fermò molto tempo a riflettervi, avrebbe risparmiato ben volentieri la discesa rocciosa per un comodo sentiero, si avviò in quella radura, ma sembrava non si giungesse mai ad un qualcosa, era come camminare su tapis roulant nel verde. Girò per molto tempo e l’angoscia iniziava a montare  e con lei la rassegnazione di dover fare la discesa lungo la parete, si fece coraggio, la radura non portava a nessun sentiero, ritornò indietro, superò l’acero, si mise a terra, di spalle al vuoto e con un ginocchio puntato a terra, con l’altra gamba brancolava cercando un appiglio per la discesa. Era cagato sotto, cercava di farsi coraggio, di mantenere calma e sangue freddo per non guardare mai in basso, il mondo scompariva in faccia a quella parete. L’unica cosa che i suoi occhi mettevano a fuoco erano le crepe che attraversavano la roccia, non era facile trovare appigli e sporgenze, sfruttare quelli usati per la salita non era cosa facile e quella sembrava una strada tutta nuova. Fu interminabile, tutta piena di concentrazione e paura di cadere nel vuoto, ma Gregorio lottò, seppure in sogno, mise tutto se stesso, misurava ogni singolo movimento, ogni singola tensione dei muscoli, era tanto attaccato alla parete che il suo respiro sospingeva l’odore dell’umido e la sensazione di freddo della roccia. Era quasi giunto a terra, gli restavano pochi metri, sul punto di fare gli ultimi passi, con un animo già più sereno, che si risvegliò tutto sudato nel suo giaciglio. Stava lì con gli occhi annaspanti nel presente, fuori il primo bagliore si faceva strada tra le foglie della sua stanza, quella frase letta sul tronco, gli sembrò qualcosa da non perdere e decise di scriversela su un pezzetto di carta che aveva accanto al libro ritrovato.  Riguardò l’appunto, cercò di metterlo a sistema con la sua esperienza, gli sembrò un monito per la sua nuova attività, a metà tra benefattore e cronista, perché lui era interessato davvero alle storie dei meno fortunati conosciuti l’altra notte per strada, gli interessava capire i meccanismi che ribaltano la parvenza di normalità che ci costruiamo, trascinandoci nelle pieghe inesplorate, nelle sacche di resistenza della vita, nei gangli di una società distratta ed accumulatrice. Era intenzionato Gregorio, a portare avanti quella sua idea di distribuzione di viveri da condividere con il prossimo, non avrebbe mai più costruito vuoti palazzi per la gioia del costruttore di turno, no, a lui ora interessava il contenuto, non il contenitore, le vite che avrebbero potuto abitare in quei palazzi e che per sorte o per scelta invece eleggevano a dimora la strada. Gregorio sapeva bene, quanto il confinamento avesse alzato barriere ancora più alte con il prossimo, quanto sarebbe stato difficile poter rompere il muro dell’ignoranza e dell’egoismo che avevano atteso così poco per manifestarsi in quella situazione di emergenza, era bastata già la corsa all’approvvigionamento dei primi giorni di quarantena, o il viaggiare da regioni contaminatissime a quelle meno, solo per l’egoistica missione di raggiungere i cari, anche infettandoli, questo è l’uomo, e si è già abbastanza espresso con la storia e continuerà a farlo, nella maniera che più gli compete: l’abiettitudine.