Avere gli altri dentro di sé

Per incontrarci, con Graziella Gioacchini, stabiliamo una psicogeografia della città sfogliando i diversi luoghi e sedi che possano ospitarci per la conversazione che avremo a proposito degli Ateliers de Cribeau. Si tratta di una magnifica impresa made in Italy che con Patrizia Molteni volevamo raccontare da tempo per Focus In ed ecco che il destino ha scelto per noi il luogo che forse più di tutti è in odore di memorabili imprese e di storia come piace a noi: Les Garibaldiens, al 20 rue des Vinaigriers, nel decimo. Un giro di presentazioni al lungo tavolo a cui siamo seduti, e poi via con il registratore lasciando che le parole come un fiume in piena travolgano cose e parole come destino, arte, Italia, sotto il benevolo sguardo dell’Eroe dei Due Mondi onnipresente.

Tutto comincia con l’attentato a Charlie Hebdo. Simbolicamente conta molto questa cosa. Io e Cristina Boraschi, ci siamo conosciute dodici anni fa qui a Parigi per altre cose. All’epoca io lavoravo nel mondo della formazione, lei aveva una casa a Parigi, e siamo diventate amiche in un attimo. Per una questione di lavoro sono stata trasferita a Mosca per un progetto e quando si è trattato di andare via la società per cui lavoravo mi ha letteralmente gelato con questa indicazione:  “però non puoi tornare in Francia, devi andare a Roma”. Non ti dico la mia reazione per questo ritorno nella città che avevo lasciato tanti anni prima. Ero davvero infelice – io sono felice là dove vivo – e credo che proprio Cristina mi ha detto un giorno “qui bisogna far qualcosa. Senti, perché non ci inventiamo qualcosa? Torna in Francia perché non ne possiamo più. Ho un amico, l’architetto che si è occupato della mia casa,  anche lui qui da 10 anni e ha voglia di fare cose, te lo voglio presentare.” Eravamo nel mese di ottobre del 2014. Da brave italo-francesi prenotiamo subito l’aereo per gennaio, il 10 gennaio.

Cosa ci puoi raccontare degli anni francesi, quelli precedenti al ritorno?

Dal 1994 al 2008 sono stata in Francia. Ero una manager in un’azienda di formazione, la Berlitz. Mi sono occupata di lingue praticamente tutta la vita.

Il 10 gennaio venite su….

… il 7 c’era stato l’attentato. Mio marito, francese, è entrato in cordoglio, eravamo ancora a Roma, e questa cosa di Charlie Hebdo ci ha veramente colpiti al cuore. Con Cristina ci siamo dette: “Rinviamo?” La risposta è stata immediata, no, e siamo venute a Parigi. Ricordo che su quello stesso volo abbiamo incontrato le sorelle Goggi, che come noi erano state indecise fino all’ultimo: Non sarà pericoloso ora? Però come noi avevano deciso di sfidare ogni paura. Sinceramente, è stato il mio ritorno a Parigi più bello e touchant… forte di emozioni, siamo state a casa di Cristina nel sesto, tra il Café de la Mairie  e la rue des Cannettes. Ricordo ancora la passeggiata che abbiamo fatto da casa sua fino alle Halles dove dovevamo pranzare con questo amico architetto. Ci siamo incontrati, abbiamo cominciato a parlare di progetti.

Cosa fare? Cosa inventarsi in questa magnifica città?

La risposta era: cultura. Ci interessava pensare a qualcosa che avesse la forma di atelier, raccontare l’Italia alla Francia, da una nuova prospettiva, costruire nuovi ponti, grazie anche alle nostre esperienze maturate in ambito multiculturale. Eravamo tutti presi nella nostra fucina di idee quando ci rendiamo conto che delle persone prima a piccoli gruppi, poi in un fiume inarrestabile, si stava dirigendo verso la place de la République. E così, senza nemmeno starci a pensare più di tanto ci siamo uniti al corteo. Eravamo in cinque alle Halles in questo ristorante che si chiama La Fresque  e abbiamo cominciato a camminare fino a ritrovarci nel cuore di una manifestazione con milioni di persone. Ricordo soltanto che abbiamo fatto 100 metri in cinque ore, era una cosa bellissima. Era uno spettacolo gioioso in una cornice di dramma. È questo che mi ha colpita – eppure dopo 15 anni in Francia il paese un po’ lo conosco – ma era una cosa particolare. Io quel giorno mi sono detta “Io è qui che voglio vivere”, ed è “lì” che sono cambiate le nostre vite. Con Cristina siamo venute almeno altre tre volte e lì cominciavano ad entrare nella famiglia Cribeau altre figure: Maria Laura Baccarini  e altre persone del mondo dello spettacolo vicine a Cristina e dunque pronte a darci una mano.

Era come se un vostro bisogno intercettasse quello di tante altre persone?

Sì, per esempio una coppia siciliana, Caterina Ferro e suo marito, Giuseppe che era un architetto, Gérard che ci corregge i testi perché nessuno è francese, poi è arrivata Leila, Cristina Marocco, la cerchia si è allargata sempre di più fino a rendere necessario trovare un luogo in grado di accogliere tutti e soprattutto tutte le iniziative che avremmo voluto mettere in piedi. Volevamo dei locali, molto belli, ampi perché volevamo fare degli atelier in italiano e francese e così abbiamo messo insieme il nostro capitale, investendo tutto sul luogo. Con il senno di poi ci siamo dette che se non avessimo fatto questo non saremmo andati avanti così velocemente. Stiamo parlando del 2015 e abbiamo creato gli atelier tra gennaio e novembre, con la seconda ferita a morte del Bataclan. I locali erano nel 9°, quindi il nostro primo contatto è stato proprio con la Mairie del 9°. Quando sono venuti a trovarci erano rimasti quasi  “impressionati” da quanto avevamo fatto in neanche sei mesi e poi devo aggiungere che i nostri locali effettivamente erano molto belli. Ci hanno chiesto “Come vi possiamo aiutare?”

A cosa avete pensato così su due piedi?

Da tempo avevamo in mente di realizzare un festival su Giorgio Gaber, grazie all’idea di Maria Laura Baccarin che aveva portato in giro lo spettacolo “Gaber, io e le cose”. Cristina era a Roma a vedere lo spettacolo di Gaber al piccolo Eliseo, c’era anche Neri Marcoré, un altro amico dell’associazione Cribeau  e gli ha detto: “Tu hai fatto uno spettacolo di Gaber, dai vieni a Parigi … E Neri è venuto. E lui lavora con Pacifico che allora ha detto: beh già che ci sto, vengo anch’io. Insomma abbiamo organizzato nel giro di due mesi scarsi. Quando la sindaca del 9° ci è venuta a trovare io non ero preparata a chiedere la loro sala, ne hanno una bellissima, la sala Rossini, e quando lei ha chiesto: “Come vi possiamo aiutare?” io ho detto “Una cosa ci sarebbe. Stiamo preparando questo festival su questo grande cantautore italiano e ci vorrebbe un teatro”. E loro un po’ simpaticamente ma anche un po’ per provocazione ci hanno detto “Quali sono le date?”, “28 e 29”. Lei guarda nel calendario e dice “ce l’ho per il 27. Vi faccio sapere domani. Però – e la provocazione era lì – devo dirvi una cosa: è una sala da 350 posti. Se non la riempite è un po’ bruttino”. E lì è iniziato il panico a bordo perché come potrai immaginare la cosa non è così scontata.

Conosco l’argomento, uno comincia già a contare i propri parenti, amici, conoscenti…

Tutti gli amici, gli mandi i fiori, i cioccolatini… Poi ti dici, arriva Marcoré, Pacifico, la Baccarin, non è che sono proprio degli sconosciuti e infatti  c’è stato il sold-out. Maria Laura Baccarin e Regis Huby sono stati il 19 ottobre con il loro Gaber all’IIC nella settimana dedicata a Milano.

Pensavo a te Cristina, doppiatrice storica del panorama italiano, a come la figura del doppiatore richiama quella del vero passeur, la faccia rimane la stessa ma la voce cambia, il che è un po’ lo spirito della vostra associazione: delle cose che appartengono a un immaginario italiano e poi gli si dà una voce che sia in grado di comunicarla a persone che non fanno parte di quell’immaginario.

Quando abbiamo fatto questo Festival dedicato a Gaber, durato tre giorni, noi abbiamo tradotto le sue canzoni che secondo me in francese sono belle quanto in italiano, alcune le trovo anche più belle, tipo il “Dilemma” e questo ha permesso effettivamente di far “passare” il messaggio. Lo spettacolo è stato stupendo, e non lo dico perché l’abbiamo fatto noi. Ce l’hanno detto. C’è stato un articolo su Repubblica, sulla Stampa, ne hanno parlato con toni entusiastici.

Tu e Cristina sembrate davvero una coppia affiatata.

Lei è stata meravigliosa. Quando la prestigiosa FUIS ci ha offerto l’occasione di raccontare la nostra esperienza al Salon du livre, l’intervistatore, un po’ a disagio dalla postura di Cristina ha detto: “Non le chiedo se si sta annoiando perché nella sua espressione …”. Insomma, in fondo è quello che tutti noi amiamo in lei. Siamo la coppia perfetta, io ho tendenza all’iper entusiasmo e lei mi mantiene a contatto con la realtà. Il nostro è un equilibrio assoluto.

Di solito le manifestazioni culturali si svolgono sulla matrice letteraria, che lavoriate su teatro, musica, fotografia, è molto interessante come missione che vi siete dati…

Sì poi noi impariamo anche tante cose andando avanti. Ognuno di noi ha un’esperienza che non viene necessariamente da questo settore. Nessuno di noi aveva mai gestito un’associazione culturale prima, quindi abbiamo interessi culturali personali, però non è la stessa cosa. Per la splendida mostra fotografica “Poveri ma belli” di Rodrigo Pais, per esempio, nel 1°arr., di fronte al Louvre era bello già il contesto, ma è stato il riscontro entusiasta che abbiamo avuto dal pubblico francese a convincerci che eravamo sulla buona strada. In realtà quello che ci interessa sono proprio i francesi, nel senso che il pubblico parigino che è venuto a vederlo ci ha fatto un sacco di complimenti perché comunque era il cinema italiano, le foto belle di quegli anni, l’Italia che amano, che amiamo anche noi e l’Italia degli anni ‘50 ci rendeva sicuramente più fieri dell’Italia di oggi, insomma.

Insomma la magnifica impresa tiene e fa degli adepti.

In realtà il riscontro c’è ed è quello che ci dà energia, e l’energia ci vuole. Però dopo … anche un grande sforzo – perché ci vuole un grande lavoro, prima del tuo arrivo discutevamo proprio di questo: in realtà noi quando facciamo le cose anche quelle del 9° o del 12°, la gente si chiede “ma questi quanti sono?”. Non lo dico per presunzione ma è vero: Ma la traduzione chi l’ha fatta? Lei. Ma i sottotitoli? Lei. Ma chi è andato a chiedere i soldi? Io. E gli artisti, che sono anche degli amici … dice vabbé dovremmo anche allargare, non possiamo sempre fare le cose tra di noi. Per fortuna ci sono persone come Massimo Iaquaniello, altro che Garibaldi ci sarebbe da fargli un monumento … lui ha una generosità e un altruismo che mi è capitato raramente di incontrare, che sia portare le foto di Pais dal suo amico (che non lo sapeva)… Tu devi sapere che le foto di Pais sono arrivate in 14 pacchi, oggi sono 10. Dice: ma ve le hanno rubate? No, non ce la fai più e le metti una sopra l’altra, anche per dire a chi le deve tenere, “solo una decina di pacchi”. E lì Massimo non ci ha mai mollato: un frigorifero, un forno, un tavolo…

Dopo l’avventura del nono, qual è il luogo degli atelier?

Adesso ne abbiamo tanti, ne prendiamo alcuni per i progetti mirati, prima che arrivassi stavamo infatti rispondendo alla Mairie del 14e. La cosa interessante adesso è che siamo sollecitati, ci scrivono, siamo stati ricevuti dall’Hôtel de Ville, dalla Commissione europea per sapere un po’ di più perché probabilmente hanno sentito parlare di noi, di quello che facciamo di questa associazione di 300 persone. Quando sentiamo entusiasmo da parte del Console o del direttore dell’Istituto allora ci entusiasmiamo anche noi,  ci vuole sempre quella dose di ottimismo che ti fa avere le energie per andare avanti.

Progetti adesso?

Un percorso al femminile che sarà in uno spazio teatrale, non necessariamente dei teatri, dove attrici, italiane e francesi declineranno dei temi in una sorta di percorso itinerante: Femmes et Pouvoir, Culture Femmes et .. Non è una cosa femminista, è un percorso… ci stiamo lavorando però il periodo … noi lavoriamo in tempi molto stretti, da novembre a marzo. Perché novembre? Perché c’è la data del 25 dei diritti delle donne, e  noi abbiamo iniziato l’attività il 25 novembre con La Trilogia dell’AmorTe di Francesco Oliveri.

Come fai a fare tutte queste cose?

Mi drogo (e ride).