Il latte dei sogni

Gli interrogativi senza risposta della 59esima esposizione internazionale La Biennale Arte di Venezia

testo di Silvia Pampaloni, foto di Luca Papini

Un liquido denso e surreale attraversa come un ruscello vischioso gli spazi dell’Arsenale. Il latte dei sogni. Cecilia Alemanni, prima donna italiana a curare la Biennale Arte di Venezia, si è ispirata per il titolo della sua edizione ad un libro di favole di Leonora Carrington (1917-2011).

Eppure niente di più lontano da un sereno sogno infantile si cela dietro al filo conduttore di questa edizione marcata dagli interrogativi sul post-umanesimo.

Cambiamenti climatici, pandemie planetarie ed infine gli spettri di una guerra nucleare pongono gli artisti contemporanei di fronte alla riflessione su una civiltà al collasso. Cecilia Alemanni tuttavia confida nel potere salvifico dell’immaginazione creativa e nella capacità dell’arte di creare nuove condizioni dell’esistenza. Una sorta di “chiamata artistica alle armi” per usare una metafora bellica tanto cara allo spirito interventista di molti media, per tentare di cambiare, almeno spiritualmente, le sorti del mondo.

E per fare questo Il latte dei sogni si è affidato alla forza mistica e spirituale per eccellenza: il femmineo. Una massiccia presenza di artiste donne e di artisti non binari caratterizza questa edizione. Tanto da venir accusata da qualcuno di essere una edizione eccessivamente politically correct.

Il Leone d’Oro di questa Biennale è andato all’artista afro-americana Simone Leigh per l’opera dal titolo Sovereignty. Una enorme dea africana in bronzo, simbolicamente priva di occhi, ci accoglie all’ingresso della Biennale come una narratrice silenziosa della diaspora africana e della schiavitù subita dal suo popolo.

L’artista libanese Ali Cherri ha invece riportato il premio del Leone d’Argento con le sue sculture in fango Titans. Esse ricordano antiche divinità assire, esseri erosi ed in continuo divenire. In bilico tra archeologia e contemporaneità le opere di Ali Cherri sembrano appena tornate alla luce dalla nuda terra per parlarci da un tempo sospeso che appartiene ancora a tutti noi.

Nella mostra, che si articola negli spazi del Padiglione Centrale ai Giardini e in quelli delle Corderie, delle Artiglierie e negli spazi esterni delle Gaggiandre e del Giardino delle Vergini, emergono chiare le voci degli oppressi. 

Antiche culture, credenze e rituali spesso mortificati dalla dominazione coloniale e dalla visione patriarcale dell’Occidente, riemergono dal passato nel loro splendore identitario.

Attraverso le opere selezionate per Il latte dei sogni non si connette solo l’Occidente, smascherato dalla sua subdola centralità, al resto del mondo, ma si svela anche la schizofrenica complessità della nostra contemporaneità. Un’edizione opulenta di proposte contrastanti, che sovrappongono artigianato a cultura cyborg, riflessioni sul legame del corpo con la sua natura e del corpo con la sua metamorfosi. 

Un inno al femminile creativo oppure un sogno ridondante che ci inghiotte?