Il marchio della periferia

Foto di Rino Bianchi

 

Se penso alla periferia, alla sua potenza e alle sue contraddizioni, mi vengono subito in mente due opere distanti fra loro una quarantina d’anni, la prima è Ragazzi di vita il romanzo in cui Pier Paolo Pasolini, nel 1955, immortalò la miseria delle borgate romane, la seconda è il film La Hainein cui Mathieu Kassovitz, nel 1995, riuscì a trasmettere la rabbia e la rivolta tragica di tre ragazzi della banlieue parigina. Ritratti diversi, lontanissimi nel tempo e nello spazio, ma che hanno in comune, non solo la matrice e lo scenario di una periferia drammatica, ma soprattutto l’assenza di speranza in giovani vite che sembrano avere un destino già tracciato.
In una scena del film i ragazzi di Kassovitz provano goffamente a corteggiare alcune ragazze di un ceto più abbiente, così come gli adolescenti di Pasolini cercavano inutilmente di abbordare ragazze altolocate. La diversità del linguaggio, dell’accento e dei codici comunicativi produce rapidamente conflitto e aggressività.  Ognuno è sulle difensive, l’altro è vissuto come nemico da abbattere o da neutralizzare.
La cronaca ci confronta ripetutamente con la carica di odio, di rivendicazione e di violenza che caratterizza le banlieue delle grandi città.  Situate tra la metropoli e la campagna, le città-dormitorio rappresentano un detonatore esplosivo che sfida le forze dell’ordine e della politica. Spesso gli agglomerati suburbani sono concentrati di popolazioni immigrate, di culture e religioni diverse.
Il conflitto non esiste solo tra periferia e centro, tra la cosiddetta cultura dominante e le culture minoritarie, ma esplode all’interno della stessa periferia, tra gruppi in guerra fra loro, per opposti e inconciliabili interessi, tra emigrati della prima, della seconda o della terza generazione.  I ragazzi delle cité non vanno ad incendiare le automobili sui Campi Elisi, ma seminano distruzione e tafferugli nel loro quartiere.  E’ un luogo comune il fatto che le banlieue siano focolai di malavita, vivai di delinquenza e di regolamenti di conti. Questa guerra però non punta sempre a un cambiamento sociale e a un’evoluzione intellettuale, né alla conquista di una dignità e di una nuova dimensione esistenziale, ma ha sovente l’obiettivo di un immediato arricchimento, ossia la realizzazione “qui e ora” di un interesse economico, dell’”avere” privo dell’”essere”.   E’ vero che non si può generalizzare, che non tutti gli abitanti delle periferie sono delinquenti, e che si potrebbero citare nomi di eminenti uomini, donne, artisti e scrittori, provenienti da quartieri poveri e svantaggiati, ma sappiamo benissimo che le statistiche per una volta non sono menzognere e che nascere e vivere a Sarcelles, a Quarto Oggiaro o a Tor Bella Monaca  è di per sé già un marchio gravido di conseguenze sociali.
Il problema delle periferie è in continua evoluzione. La nuova emigrazione verso l’Europa ha cambiato la geografia della povertà e dell’integrazione. Le città dormitorio, le cité suburbane, sono realtà degli anni Settanta, sempre presenti, ma assodate. La nuova realtà è fatta dagli accampamenti dei nuovi migranti di Calais, dalle baracche dei profughi di Lampedusa, Malta, Lesbo…., dagli agglomerati di migliaia di disperati sbarcati da barconi, sfuggiti dalle guerre, dalle carestie, dalla morte annunciata dei loro paesi di provenienza.

Che ne sarà di questi bambini che oggi hanno cinque, dieci, quindici anni? Che hanno attraversato mari e deserti, che hanno visto annegare altri esseri umani o loro familiari? Che cosa diventeranno questi giovani che vivono ai margini delle città opulente dell’Europa, alla periferia delle periferie, senza radici e senza futuro?  Che lo vogliamo o no, sono loro che ci costringeranno al cambiamento. I ridicoli tentativi di politici avidi e conservatori, di costruire muri, di rispedire indietro i migranti, di difendere la lingua e la moneta locale, sono votati al fallimento a breve o a lungo termine.  Non sono quindi solo le periferie che stanno esplodendo, ma è il mondo stesso che attraversa un’ondata di cambiamento inarrestabile. La società della consumazione, la logica del mercato, che domina il nostro modo di vivere, si rivela inadeguata per far fronte alle nuove realtà sociali.
Più l’impero del Mercato sarà esacerbato e più la violenza, la rabbia, la rivendicazione delle popolazioni periferiche e svantaggiate sarà esponenziale.
Quando la rabbia è agita, l’odio si esprime passando solo per il corpo, in un cortocircuito da cui è assente la parola. L’affronto fisico e violento è l’unica via di espressione, quando il linguaggio è imbavagliato o assente.
Non ci sono ricette miracolose per risolvere problemi di dimensione mondiale, ma a tutte le menti illuminate è evidente che senza progetti educativi e formativi reali, il marchio delle periferie e delle periferie delle periferie, sarà sempre più esplosivo.
I programmi politici attuali hanno fortemente investito sulla formazione tecnica e scientifica a scapito di una riflessione sull’essere, a scapito della filosofia e della logica, a scapito della fantasia e della poesia. Di recente memoria è un progetto scolastico italiano che per essere iper-moderno doveva fondarsi sulle tre “I” di “Industria, Informatica e Inglese”.  Con tali presupposti si creeranno dei buoni informatici, dei tecnici scientifici e matematici formidabili, ma se il linguaggio umano evolverà sul modello di quello dei computers, se l’obiettivo sarà quello di comunicare solo in modo rapido ed economico, l’incomunicabilità con gli altri, diversi da sé, sarà sempre più vasta, i progetti di urbanizzazione sempre più votati alla segregazione, i centri, le periferie e le baraccopoli, sempre più in guerra.
Per fortuna l’essere umano, a differenza dei computers, ha la ricchezza dell’imprevedibilità, dell’incalcolabile, del lapsus e del sogno, veritiere periferie della mente umana. Nessun regime, nessun tentativo di codificazione e congelamento culturale, può uccidere la potenzialità pulsionale che caratterizza l’umano.  Verrà probabilmente dalle periferie delle città e dalla periferia del pensiero, la carica rinnovatrice della nostra trasformazione.