Uberizzazione e democrazia nell’era della rivoluzione digitale

Un’onda sovversiva da qualche tempo ha rivoluzionato l’organizzazione economica e politica del mondo del lavoro e del commercio. Un’onda chiamata uberizzazione, dal nome dell’emblematica impresa Uber, che ha diffuso a livello planetario un sistema di piattaforma innovativa per un servizio di vetture con conducente (VTC). Il termine uberizzazione ha superato la referenza d’origine e si è rapidamente esteso a macchia d’olio su numerosi spazi economici stravolgendone le abitudini e le regole commerciali, professionali e sociali tradizionali. Così troviamo l’uberizzazione a proposito di affitti d’appartamenti di vacanza, di strumenti di lavoro, di servizi bancari, ma anche di agenzie di reclutamento, fino all’uberizzazione degli incontri sentimentali. I consumatori sono confrontati a una forma d’offerta di servizi, che grazie alle nuove tecnologie permettono ai clienti e ai venditori di mettersi in contatto in modo rapido e diretto, e con un abbassamento dei prezzi. Grandi gruppi come Airbnb, Booking, Amazon, si sono rapidamente imposti in questo universo, mentre tutt’intorno, miriadi di piccole start-up fioriscono ogni giorno sperando di conquistare una fetta della torta. I loro progetti di sviluppo si basano sulla creazione di piattaforme numeriche di messa in relazione fra acquirenti e gestori tramite le applicazioni e i sistemi di geo-localizzazione.
Secondo l’Observatoire de l’Uberisation[1] , questa “economia collaborativa”, modifica radicalmente: “la nostra relazione al lavoro, il nostro modello sociale, le nostre riflessioni giuridiche” e permette a ciascuno di realizzare
il suo sogno di indipendenza e di libertà professionale.  I lavoratori dell’economia uberizzata non sono dei salariati,
ma dei lavoratori indipendenti, che hanno spesso scelto lo statuto di auto-entrepreneurs. In questo  mondo “ideale” il principio è quello che ciascuno diventi il proprio padrone e possa lavorare quando e dove vuole. Tuttavia per certi osservatori, l’uberizzazione nasconde uno tsunami
economico che mette a dura prova la nostra democrazia. Il primo problema che si pone è quello fiscale.
Le piattaforme di lavoro uberizzate hanno per la maggior parte le loro sedi sociali nei paradisi fiscali o in paesi dove la fiscalità è loro favorevole. Le colossali cifre d’affari che sono generate nel paese dove si svolge l’attività commerciale, sono dirottate elettronicamente verso queste zone fiscali in modo tale che il paese che genera questi benefici non ottiene nessun vantaggio di ritorno. I difensori dell’economia liberale-uberizzata, sostengono che questi sistemi creano del nuovo lavoro, ma non spiegano che si tratta quasi sempre di lavori a un tasso di cariche sociali e fiscali molto basso che non rigenerano sufficientemente le diverse case sociali del paese  in cui si trovano.
Se questo meccanismo economico dovesse diventare maggioritario in un paese, le linee finanziarie della pubblica istruzione, della sanità, della difesa, ecc. falliranno. A questo stadio, che ne sarà della nozione di democrazia e di quella di Stato, in quanto difensore dei diritti sociali?  Tanto più che i benefici dei “lavoratori-padroni” di queste società uberizzate non sono molto elevati.  Alcuni di loro hanno talvolta due mestieri per riuscire a sopravvivere e a mantenere la loro famiglia. Le loro scarse risorse non permettono neppure di aderire alle assicurazioni e pensioni private, sostitutive di quelle statali.  Si rischia di favorire il volume del lavoro sulla qualità della vita. L’obiettivo di liberarsi di capi e padroni e di abolire lo statuto di “salariato”, produce un movimento verso un neo-liberalismo ad oltranza che punta a un mondo senza CDI[2] , e dove i nuovi “indipendenti” non beneficiano di nessuna garanzia sociale e vivono in povertà.  Lo stravolgimento del codice del lavoro, dei diritti sociali, della protezione dei lavoratori, rischia di generare una crescente precarizzazione, e l’abolizione di numerosi posti di lavoro adesso esistenti.
Il consumatore, anch’egli uberizzato, con il suo potere di
dare un voto attraverso dei punti o delle stelle di soddisfazione, sembra essere il re di questo sistema di economia basato sulla domanda. Non usciamo più da un negozio come Darty o Ikea, senza che il venditore non ci preghi di valutarlo bene nel questionario di soddisfazione da cui dipende la sua stabilità professionale. Se il consumatore diventa il Grande-Valutatore del mercato, anch’egli sarà a sua volta valutato, misurato, studiato nei suoi comportamenti, nelle sue attitudini, nei suoi interessi e preferenze. Ogni acquisto on-line, ogni consumazione o semplicemente ogni ricerca sul web produce una cascata di sollecitazioni di acquisto nello stesso dominio d’interesse. Il minimo dettaglio della vita del consumatore è un prodotto in sé, venduto, comprato, monetizzato.
La posta in gioco politica di questa “economia collaborativa” che sarebbe più giusto chiamare “economia competitiva”, va al di là della bi-polarità destra-sinistra, e mira a produrre una trasformazione profonda delle istituzioni e
dei rapporti sociali.  Il neo-liberalismo, di cui l’uberizzazione economica è una delle espressioni, si apparenta a un potente capitalismo che potrebbe disattivare la democrazia e sbriciolare la società, se delle misure di guida e di controllo non saranno attivate.
A questo proposito, Pierre Dardot, autore del libro Ce cauchemar qui n’en finit pas. Comment le néo-libéralisme défait la démocratie[3] , denuncia i pericoli di questo modello economico.  Egli considera che il neo-liberalismo al quale siamo confrontati non ha niente a che vedere con il senso abituale di questo termine, esso non consiste in una volontà di indebolire lo Stato a profitto del Mercato, ma procede da “ una –  ragione del mondo – che ha per caratteristica di estendere e di imporre una logica del capitale a tutte le relazioni sociali fino a farne la forma stessa delle nostre vite” .
Lacan ci insegna che il discorso della psicoanalisi si situa in posizione opposta a quella del discorso del capitalismo. Già negli anni Settanta Lacan notava come il discorso capitalista producesse una forma di consumazione compulsiva degli oggetti del Mercato, sorretta dall’idea del godimento illimitato.  Lacan sembra preconizzare la modernità della
nostra società uberizzata in cui la domanda deve essere soddisfatta istantaneamente e a costi sempre più bassi (ma a quale prezzo?). In che modo questo sistema economico
che sembra funzionare così bene, che sembra una manna per il consumatore, potrà continuare senza danneggiare la società?
Secondo Bruno Teboul, autore del libro Ubérisation = économie déchirée ?[4] , l’uberizzazione ci fa entrare nell’era “di un capitalismo numerico o iper-capitalismo del quale la forma più recente è quella del capitalismo delle piattaforme, particolarmente violento, imprevisibile e senza limiti » .   Egli considera che il rischio maggiore
dell’uberizzazione economica è quello di un’automatizzazione totale della società. La sua idea dell’apparizione, sulla
scena del mondo del lavoro, di un robotariato[5]  (neologismo costruito a partire dai termini : robot e  proletariato),
più che la sostituzione delle macchine al lavoro umano, essa ci sembra piuttosto preconizzare una forma di vita umana sempre più meccanizzata e alienata.
Ciò che è considerato dagli uni come una catastrofe è messo in avanti dagli altri come una formidabile opportunità. Come orientarsi in questa giungla del mondo economico, costruita in un linguaggio (oggetti comunicanti, anelli di retroazioni, puce RFID, big data, smat cites….) che sfugge alla comprensione della maggior parte delle persone?  Sappiamo che l’organizzazione del lavoro e quindi della società si è sempre costruita in funzione delle scoperte scientifiche e tecnologiche, è quindi inevitabile che il mondo numerico e digitale produca una trasformazione economica e politica. Di fronte a questa realtà è importante che politici, economisti e sociologhi, avviino un dialogo di riflessione sugli impatti della mutazione numerica in corso e dell’uberizzazione galoppante sull’organizzazione sociale e sulla salvaguardia della democrazia.
Anche la psicoanalisi è sollecitata a questo dibattito; fin dal secolo scorso Freud sollecitava gli psicoanalisti a farsi presenti non solo nella clinica della psicologia individuale, ma anche in quella della psicologia collettiva, e di fare attenzione al malessere della civilizzazione. Uno degli aspetti di questo malessere è rappresentato oggi dagli effetti della rivoluzione nel mondo del lavoro. In quanto psicoanalisti non si tratta di opporsi alle innovazioni, né di sostenere il vecchio mondo contro il nuovo. Noi non crediamo che i rischi dell’uberizzazione economica si riducano all’alternativa : salariati da una parte e auto-imprenditori dall’altra.  Si tratta invece di inventare delle nuove forme di contratto sociale, in cui gli individui esistano come soggetti responsabili e in una forma di collaborazioni che tenga conto dello Stato di diritto e delle garanzie sociali. Ancora una volta è la bussola dell’etica, quella che potrà orientarci in questo dibattito che non sembra destinato a concludersi rapidamente.

[1] https://www.uberisation.org/
[2] Contratto a tempo indeterminato
[3] Pierre Dardot, Christian Laval Ce cauchemar qui n’en finit pas. Comment le néo-libéralisme défait la démocratie, La Découverte, Paris, 2016.
[4] Bruno Teboul, L’uberisation = économie déchirée? Edition Kawa 2015.
[5] Bruno Teboul, Robotariat. Critique à l’automatisation de la société, Éditions Kawa 2017