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Tuffo in lungo
di Gigi Spina

©Nino Migliori, Il Tuffatore, 1951
Il tuffo in lungo è una specialità olimpica. Lo praticavano gli dèi dell’Olimpo. Non fu mai ammesso alle Olimpiadi umane. Tranne che nel 1951, che però non era un anno olimpico. E quindi la cosa finì lì.
A differenza del tuffo in basso e del tuffo in alto, che gli umani sanno praticare perché si credono angeli, il tuffo in lungo è tipico del politeismo, che riconosce l’estensione in orizzontale, non la reductio ad Unum, al vertice del triangolo. Non che i Greci non conoscessero il tuffo verticale. Prova ne è la Tomba del Tuffatore conservata a Paestum. Che però è una Tomba, il che crea qualche disagio.
Ma parliamo del 1951, anno in cui un tuffatore umano provò il tuffo in lungo dinanzi all’occhio vigile di una Rolleiflex 6×6, quella di Nino Migliori. Trattandosi di foto, non sappiamo come finì. Cioè, alla domanda: Ma lungo quanto? potrebbe rispondere solo il tuffatore in questione, del quale nessuno ha rivelato il nome.
Però una considerazione va fatta. Dove si svolse il tuffo? A Rimini, città monovocalica. Si potrebbe ipotizzare, allora, che lo stesso tuffo, in presenza di mare o fiume o lago o torrente o canale o rigagnolo o tinozza, potrebbe farsi ad Asmara, Carrara, Malaga, Praga, Este, Brindisi. E aggiungerei: ad Arcavacata.
La città monovocalica, se fornita di acqua, consente di rimanere sulla stessa vocale per più tempo, almeno tre sillabe. Ci si può preparare con città non proprio monovocaliche, ma che contemplino un’estensione trivocalica, per esempio, Macerata. Insomma, ci si può sbizzarrire partendo da Rimini e prendendo una rincorsa felliniana, ma avverto subito che la rincorsa felliniana conduce a una fontana, con un tuffo necessariamente verticale, anche se parte da orizzontale. Insomma, Rimini deve avere qualche cosa in più, che la fotografia nasconde.
Si sa che una fotografia scopre e copre, per così dire: scopre tutto quello che contiene, fino ai dettagli più minuti e insignificanti, che con una lente d’ingrandimento rivelano i loro segreti; copre tutto quello che non comprende: l’extracornice, tutto quello che c’è al di là della e intorno alla foto.
Quello che c’è nello spazio, ma anche nel tempo.
E di fronte a Rimini, nel tempo, c’è l’Isola delle Rose, Insula de la Rozoj in esperanto. Ha imparato a conoscerla, in questi ultimi mesi, anche chi, come me, conosce da tempo il vero mare perché è nato in Mediterraneo. E anche perché, finalmente, come per l’extracornice della foto, comincia ad apparire tutto quello che capitò nel 1968, a maggio e dintorni, al di fuori dei cortei.
Di fonte a Rimini, ma oltre le acque territoriali, una distanza che un tuffo-in-lungo olimpico copre senza difficoltà, nel Maggio ‘68 c’era l’Isola delle Rose. E se si prendeva lo slancio da Rimini, con piglio monovocalico, ma non felliniano, un olimpico poteva anche arrivare, col tuffo in lungo, fin sulla piattaforma di quell’isola che c’era e non c’era. Poi, di lì, magari, per stanchezza o pigrizia, poteva tuffarsi in verticale. Ma non risulta che nessuno l’abbia mai fatto. Si rimaneva in orizzontale, estesi, liberi e plurali; non verticali e monoteisti.
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