L’ultima estate in città

“Del resto è sempre così. Uno fa di tutto per starsene in disparte e poi un bel giorno, senza sapere come, si trova dentro una storia che lo porta dritto alla fine. Quanto a me avrei fatto volentieri a meno di mettermi in gara. Avevo conosciuto gente di ogni genere, gente arrivata e gente che non era neanche riuscita a partire ma tutta prima o poi con la stessa faccia insoddisfatta per cui ero giunto alla conclusione che la vita fosse meglio limitarsi ad osservarla.”

[et_pb_section transparent_background= »off » allow_player_pause= »off » inner_shadow= »off » parallax= »off » parallax_method= »on » padding_mobile= »off » make_fullwidth= »off » use_custom_width= »off » width_unit= »off » custom_width_px= »1080px » custom_width_percent= »80% » make_equal= »off » use_custom_gutter= »off » fullwidth= »off » specialty= »off » admin_label= »section » disabled= »off »][et_pb_row make_fullwidth= »off » use_custom_width= »off » width_unit= »off » custom_width_px= »1080px » custom_width_percent= »80% » use_custom_gutter= »off » gutter_width= »3″ padding_mobile= »off » allow_player_pause= »off » parallax= »off » parallax_method= »on » make_equal= »off » column_padding_mobile= »on » parallax_1= »off » parallax_method_1= »on » parallax_2= »off » parallax_method_2= »on » parallax_3= »off » parallax_method_3= »on » parallax_4= »off » parallax_method_4= »on » admin_label= »row » disabled= »off »][et_pb_column type= »4_4″ disabled= »off » parallax= »off » parallax_method= »on » column_padding_mobile= »on »][et_pb_text background_layout= »light » text_orientation= »left » admin_label= »Text » use_border_color= »off » border_style= »solid » disabled= »off »]

L’ultima estate in città

Intervista a Giancarlo Calligarich

di Sirio La Pietra

Foto Rodrigo Pais © Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Biblioteca Universitaria di Bologna

“Del resto è sempre così. Uno fa di tutto per starsene in disparte e poi un bel giorno, senza sapere come, si trova dentro una storia che lo porta dritto alla fine. Quanto a me avrei fatto volentieri a meno di mettermi in gara. Avevo conosciuto gente di ogni genere, gente arrivata e gente che non era neanche riuscita a partire ma tutta prima o poi con la stessa faccia insoddisfatta per cui ero giunto alla conclusione che la vita fosse meglio limitarsi ad osservarla.”

Inizia così L’ultima estate in città di Gianfranco Calligarich. Un caso letterario italiano e internazionale. 17.000 copie vendute all’uscita e poi la scomparsa da tutte le librerie. Morto e risorto. Pubblicato, ristampato, ripubblicato e ristampato. Un libro capace di vincere il premio Inedito 1973 e dopo quasi 50 anni vincere il Prix Fitzgerald (nel 2021).

Calligarich è il continuatore di una certa letteratura che passa da La Capria a Soldati, di una verità coraggiosa e ricca di stile. Reale e nostalgico, intenso e disincantato è il racconto che inizia negl’occhi stanchi di Leo Gazzarra, a filo sul mare, nella costa laziale, lontano da Roma. Leo Gazzarra è un giornalista alle prese con la vita e con le mancanze, in lui mancano i desideri prèt-à-porter in cui tutti prima o poi scivoliamo senza posa: il lavoro, la stanzialità, il denaro, il prestigio. In lui sono tutte forme vuote. Lavorare sì, ma solo per il denaro. Il denaro sì, ma solo per sopravvivere.

Calligarich ha detto che uno dei piaceri di scrivere è che nei romanzi si ha la possibilità di gestire ciò che nella vita si subisce e ciò è ben raccontato grazie alla bellezza della città in cui si svolge: Roma con le sue correnti d’acqua che trascinano chi la abita. La città interviene nei percorsi di Leo come un personaggio senza faccia, un’antagonista invisibile da cui poi cercherà di fuggire. La Roma di Calligarich è eterna come dev’essere, non per l’età, non per l’a.C. o d.C. dei suoi scavi seguiti da numeri a due o tre cifre, che ormai neanche le targhe delle macchine hanno più, ma per la sua ineffabile e scoraggiante grandezza, la sua naturale presenza: la sua naturale presenza, voglio ripetermi. La descrizione della città come scenario è in chiave certamente contemporanea: cemento, palazzine, strade su strade e una giungla di macchine e clacson. Tutto questo richiama inconsciamente a un’idea tutta romantica o illumista della natura.

Goethe aveva paragonato la natura a una grande danzatrice “che ci rapisce nel vortice della sua danza e poi ci lascia andare e cadere dalle sue braccia, immemore e dimentica. La vita è la sua invenzione più bella, e la morte è il suo artificio per avere molta vita”. E così è la Roma che viene raccontata.

Leo si sente vittima di un’afasia, vive le sue relazioni come piccoli piaceri passeggeri senza mai affidare ad alcuna di queste una speranza di salvezza. Una volontà schopenhaueriana e consapevole dei propri limiti.

La vita “agrodolce” di Leo Gazzarra è in bianco e nero, da cinema neorealista, secondo la “deformazione” professionale dello scrittore/sceneggiatore. Qualche capitolo però è colorato a freddo da una figura che il lettore non fa altro che aspettare per tutto il romanzo: Arianna, la fiammella cieca che stuzzica l’indifferenza di Leo, che lo distrae dalla sua crisi esistenziale. Nevrotica e insicura, trascina Leo nella sua vorticosa incapacità a vivere e a bastarsi. I loro incontri sono saltuari e spesso improvvisati, un amore sepolto sotto il tappeto come polvere e una pace fuggita, compromessa, che finisce sempre per negarsi.

È un regalo da farsi, leggibile su più piani. Un regalo da farsi e da fare. Un romanzo che è riuscito a resistere per 50 anni senza mollare e che si è consacrato come caso letterario all’estero anni e anni dopo.

Pubblicato nel 1973 da Garzanti, questo libro è morto e risorto dalla sua prima pubblicazione ad oggi. Nato grazie all’aiuto di Natalia Ginzburg a cui Calligarich dice di dovere tutto. Il romanzo era stato rifiutato da tutti gli editori – Garzanti incluso –, quando una sera lo scrittore milanese decise di lasciare una copia del suo manoscritto alla portineria della casa di Natalia Ginzburg. La mattina dopo venne chiamato proprio dalla Ginzburg in persona, la quale affermò di aver letto il romanzo in una sola notte e di averlo apprezzato moltissimo.

Consigliò a Calligarich di inviarlo ad un concorso dove lei era nella giuria. L’ultima estate in città vinse così il Premio Inedito e anche grazie a questo Garzanti si decise a pubblicarlo nel 1973, vendendo subito 17.000 copie. Tuttavia non è stato ristampato. Nel 2010 l’editore Aragno ha deciso di ripubblicarlo. L’ultima estate in città nel frattempo ha vissuto un successo nascosto alle grandi distribuzioni, nei sotterranei dell’editoria: mercatini, piccoli circoli letterari che continuavano a consigliarlo e a parlarne, non smettendo mai di scrivere all’autore per congratularsi.

Nel 2020 Gallimard ha deciso di tradurlo ed ha avuto un enorme successo in Francia e, di riflesso, in Italia. Di tanto in tanto la Francia, con i suoi lettori e la sua editoria forse più attenta, ci segnala qualcosa di bello della nostra letteratura scomparsa, tende la mano a qualche romanzo annegato e lo salva. È successo con Carlo Emilio Gadda, è successo con Goliarda Sapienza (oggi non c’è una libreria che non abbia un suo libro) e succederà ancora probabilmente, purtroppo.

Oggi è alla seconda edizione con Bompiani ed è stato comprato in Spagna, Olanda, Germania, Austria, Israele, oltre che Inghilterra e Stati Uniti. Una nuova vita che dimostra come abbia passato a pieni voti l’esame del tempo.

Voglio aggiungere qualcosa che sta al di fuori dell’oggetto-libro ma che comunque lo riguarda. Ho avuto modo di conoscere Gianfranco Calligarich qualche settimana fa a Parigi. È stato un bellissimo incontro tra la stima che già avevo e l’affetto che ho scoperto. È stato a pranzo a casa mia come fanno i vecchi amici quando capitano nella città dove abiti.

Gli ho reso il favore preparandogli una pasta coi gamberi che abbiamo consumato sul terrazzo di casa. Per tutto il tempo i gabbiani hanno garrito sui comignoli. Ci siamo dilungati in una chiacchierata che preferisco resti su questo terrazzo da cui scrivo adesso.

Per quello che vale, posso dire che è uno dei libri più belli che abbia letto, è una passata di mano su una buona stoffa, mi ricorda il blu profondissimo delle tele di Klein. Quale emozione mi prende se penso che tra qualche settimana prenderò l’aereo per tornare a Roma dopo un anno intero bloccato a Parigi! Mi interrogo su che effetto mi farà la città dopo questo libro. Lo dirò al mio amico Gianfranco, in un ristorante peruviano di piazza Mancini.

[/et_pb_text][/et_pb_column][/et_pb_row][/et_pb_section]