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Farcia à l’italienne
di Dorina Burlacu e Patrizia Molteni

Mentre in francese farce indica sia lo spettacolo teatrale che il ripieno usato in cucina per carni, pesci e verdure, in italiano le parole derivano dalla stessa origine ma si sono poi distinte in farsa (spettacolo comico che serviva a riempire i tempi morti tra gli spettacoli sacri), e farcia, il classico ripieno. è sempre un mistero capire chi e perché ha inventato il caffè, per esempio, provando a tostare chicchi di una pianta e trasformandolo attraverso operazioni non scontate in quello che è diventato uno dei simboli del piacere di vivere à l’italienne. Stessa cosa per il ripieno: a chi è venuto in mente di riempire la sfoglia con carne o verdure?
Nello Scappi (Opera di Bartolomeo Scappi, mastro dell’arte del cucinare, divisa in sei libri, 1570) si fa derivare questa usanza dal fatto che per trasportare le vivande dalla campagna alla città si usasse fare una sfoglia (cotta poi al forno) che serviva da contenitore. Non si sa nemmeno se poi venisse mangiata. Ma già nel Liber de coquina (che non ha niente di malizioso) risalente al XIII secolo si accennava alla derivazione timballo-tortello è nel medioevo che appaiono le prime forme di pasta ripiena, con il duplice scopo di contenere e cuocere il ripieno. A Bologna, le famiglie abbienti mangiavano già i tortellorum (diminutivo, come ci dicono gli storici, di torta) durante le feste.
In seguito divennero un modo di usare gli avanzi di carne o di verdure e dalle tavole nobili approdarono anche nella tradizione popolare. A tal punto che un purista come Cal Lightman, protagonista della serie americana Lie to me, rifiutava di mangiare i ravioli cinesi perché “non mangiava gli avanzi”, non perché fossero cinesi ma perché i ripieni erano fatti, secondo lui, con gli avanzi.
Ogni bolognese doc conosce la storia dell’ombelico di Venere: Bacco, Marte e Venere, in trasferta dall’Olimpo per sistemare un tremendo conflitto tra le città di Bologna e Modena, si fermarono in una locanda di Castelfranco dell’Emilia. L’oste restò ammaliato dall’ombelico di Venere e decise di riprodurre la sua forma con la pasta sfoglia.
Il raviolo invece deriverebbe da robiola, all’epoca una sorta di rapa contenuta nel quadratino di sfoglia. Boccaccio lo cita nel Decameron nel terzo racconto dell’ottava giornata quando i protagonisti arrivano nel Paese di Bengodi dove stavan genti che niuna cosa facean che far maccheroni, raviuoli e cuocerli in brodo di capponi.
Infine come non citare i “cappelletti all’uso di Romagna”: Pellegrino Artusi (la cui ricetta ha ispirato l’adattamento che pubblichiamo), così chiamati perché ricordano il berretto medievale.
Cappelletti all’usa di una romagna salutista
di Dorina Burlacu
In questo numero su dentro/fuori, abbiamo chiesto alla cheffe Dorina Burlacu una ricetta sui ripieni che arricchiscono la già ottima sfoglia fatta in casa. Ci ha mandato una versione light, provare per credere.
Dal primo lockdown, a marzo 2020, ho avuto tanto tempo per riflettere, pensare, e soprattutto per fare delle ricerche e delle prove in cucina!
Artusi non mi da pace, sfoglio continuamente le pagine del suo libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Trovo la ricetta n. 7, “Cappelletti all’uso della Romagna” e mi metto subito al lavoro.
I giorni passano e le variazioni della ricetta aumentano. Utilizzo diversi tipi di farine e diversi ripieni.
Coinvolgo la dottoressa nutrizionista Debora Cera di Roma e le chiedo dei consigli nutrizionali.
La cucina di casa mia si trasforma in un piccolo laboratorio che produce idee giorno e notte.
Così nasce la mia pasta fresca con un ripieno a base di prosciutto cotto da servire in un brodo vegetale alla curcuma.
In questo periodo siamo stati obbligati a fare una vita “all’interno”. Questo comporta una mancanza di esercizio fisico e un aumento di peso che a lungo andare può creare una lunga serie di conseguenze negative per la salute. Creare una ricetta con equilibrio e gusto, ma senza rinunciare alla storia e alla tradizione, mi riempie di gioia. Abbiamo usato il prosciutto cotto, che vanta origini della Roma antica. Viene usato meno per i ripieni della pasta fresca, perchè considerato poco saporito e poco pregiato. Invece le sue qualità sono tante soprattutto scegliendo un prodotto locale a km zero (prosciutto cotto Soave Salumificio Leoni, Bibbiano, Reggio Emilia).
Cappelletti all’uso di Romagna alla Didì
(Dorina e Debora)
VALORI NUTRIZIONALI (a cura della dottoressa nutrizionista Debora Cera) per 100 g di prodotto: 162 kcal, grassi totali 4,7 g (di cui grassi saturi 2,26 g), sale 0,6 g.
Ingredienti
4 porzioni
Per il ripieno
100g prosciutto cotto
30g albume
10g parmigiano stagionato 36 mesi
20g pan grattato
Per la pasta
80g farina tipo 00
30g farina semola
50g uovo intero
Per il brodo vegetale
1 carota
1 zucchina
10cm costa di sedano
mezza cipolla
1 pomodoro
2g curcuma
un pizzico di pepe nero
3g sale
Procedimento
Impastare la pasta, coprire con la pellicola, far riposare per circa 30 minuti nel frigo.
Frullare il prosciutto cotto con l’albume fino a costituire un paté. Mescolare gli ultimi ingredienti e formare delle strisce di ripieno lunghe circa 30 cm (come sarà la striscia di pasta fresca, lunga 30 cm e alta 14 cm).
Bagnare leggermente con l’acqua la striscia di pasta fresca. Avvolgere la pasta intorno alla striscia di ripieno a base di prosciutto cotto e assicurarsi che sia chiusa bene.
Misurare la metà della striscia di pasta ripiena e affiancare i due pezzi tagliati (da 15 cm l’uno); tagliare ancora a metà (7,50 cm), e di nuovo in quattro pezzi. Tagliare i quattro rotoli a metà, e di nuovo, fino ad ottenere una porzione di 16 mezze maniche tutti uguali.
Procedere alla chiusura dei cappelletti.
Bollire le verdure per 30 minuti, filtrare. Riportare a bollore, mettere i cappelletti e far cuocere per circa 3 minuti.
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