Genova incantata

Un epicentro della canzone italiana nella scuola dei cantautori genovesi

di Serena Rispoli

Erano quattro amici al bar, che volevano cambiare il mondo. 

Ha una data e un’ora precisa il sodalizio, firmato tra il serio e faceto da quattro ragazzi cresciuti insieme sui banchi della scuola media. Una data iscritta nel diario di quello che sarebbe diventato uno dei più grandi cantautori italiani, che riporta la fondazione della Jerry Rol Boys Jazz Band il 22 giugno 1953 alle 22:15. Quattro amici in un quartiere di quattro strade, quattro personalità molto diverse ma estremamente legate: Umberto Bindi, Luigi Tenco, Gino Paoli e Bruno Lauzi.

Sono i primi cantautori – di una lunghissima serie che ancora oggi non smette di rinnovarsi – della cosiddetta scuola di Genova, un po’ impropriamente chiamata così, perché nessuno in realtà ebbe mai la volontà di fondare una vera e propria scuola. 

Tutto è nato praticamente per gioco, da ragazzini innamorati dell’America, del be bop, del rock’n’roll, del jazz, del baseball, degli chansonniers francesi. E di Genova. 

Ma perché proprio Genova? Cosa destinava la città della Lanterna ad essere la culla di un gran numero dei più grandi autori della musica italiana? Bruno Lauzi ha una sua spiegazione: «Certi grossi movimenti musicali nascono nelle città di mare. Uno nell’800 a Napoli, poi nel 900 a Genova. Forse la canzone della partenza attraverso il mare di Napoli è diventata la canzone del ritorno quando i figli dei napoletani sono arrivati con le truppe degli americani, portandoci una cultura totalmente opposta a quella da cui erano partiti. In qualche modo è stata l’acqua a riportarci la musica. O forse, come a volte dico scherzando, è l’acqua che si beve qui.»

Dall’acqua, dal mare arrivano onda su onda, portate dal vento e dalle correnti, le influenze d’oltreoceano che animano le vite dei nostri quattro ragazzini: il baseball, il ballo, la musica.

Il loro sogno era di scrivere canzoni americane; forse non tutti sanno che Luigi Tenco ha cominciato interpretando le canzoni di Nat King Cole e che Gino Paoli cantava il rock’n’roll. Così diversi, eppure così vicini. Tenco e Lauzi erano compagni di banco. Le prime canzoni cominciarono a scriverle a 14 anni. Poi i primi complessini per andare a suonare nelle feste degli studenti o alle partite di baseball, allo stadio, per sottolineare con la musica le azioni del Genoa Baseball, la squadra del loro quartiere.

Diverse anche le difficoltà che ognuno di loro avrebbe dovuto affrontare, come ricorda ancora Lauzi: «La prima canzone l’ho scritta addirittura col testo di mia madre. Non ho mai avuto ostacoli in famiglia. Luigi li aveva, i suoi tenevano la bottiglieria di vini tipici Enos, in via Rimassa. Lui doveva suonare di nascosto. La madre e il fratello non vedevano di buon occhio questa perdita di tempo. Vecchi contadini piemontesi erano lontani dal mondo musicale. Per Paoli e Bindi era molto diverso, il primo era più grande, ormai autonomo, lavorava; il secondo aveva una madre che lo adorava e lo assecondava in tutto.»

Secondo Gino Paoli è Genova la vera scuola, di vita e di musica, il vero legame che li unisce: 

«L’unica cosa che ci legava era un’amicizia abbastanza solida, una frequentazione assidua, una cultura simile, però nessuno di noi aveva l’intenzione di diventare cantautore. Se tra noi c’è un’unità è dovuta forse all’estrazione, siamo tutti genovesi. 

Io ho cominciato a fare musica per il vile denaro. Prima facevo il bozzettista pubblicitario, prendevo trentasei mila lire al mese. Poi a poco a poco suonare ha cominciato a piacermi. Per cinque anni ho fatto la fame.» 

Tra il ’58 e il ’59, Gianfranco Reverberi, nominato da Nanni Ricordi direttore artistico della famosa casa discografica omonima, offre loro la possibilità di fare sul serio. A Milano arrivarono uno ad uno, all’inizio senza crederci troppo. Marina Achillei, che all’epoca gestiva la Pensione del Corso dove i quattro sbarcarono, ricorda Tenco e Paoli come ragazzi timidi ma simpatici. I primi tempi nella città lombarda non furono semplici, soprattutto dal punto di vista delle finanze. Reverberi racconterà di come si preoccupava di riservare sempre nei brani dei momenti di vuoto che potessero essere riempiti dal sax di Luigi Tenco per permettergli di guadagnare i soldi per mantenersi.

Sotto la guida di Gianfranco e Giampiero Reverberi e di Giorgio Calabrese, veri e propri mentor oltre che maestri di musica, i quattro ragazzi scanzonati cominciarono a vivere delle loro canzoni. E quando, a poco a poco, negli anni Sessanta arrivò il successo, cominciarono a scoprire che di musica si poteva vivere, e anche molto bene.

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