Genova per noi

di Doriana Fournier

Genova per noi è una canzone “storica” di Paolo Conte, portata inizialmente al successo da Bruno Lauzi e poi ripresa da Enzo Jannacci e da Chico Buarque. Belle interpretazioni, è indiscutibile, ma solo quando l’autore ha offerto la sua, l’entusiasmo dell’allora sporadico gruppo di “contiani” convinti è salito alle stelle. Un pianoforte, una voce “un po’ così” e la canzone ha conquistato dimensioni sorprendenti e persino struggenti.

 «Genova per noi è stata fondamentale per fissare il mio stile», spiega l’artista, «una canzone che pensavo non venisse capita perché era un po’ un discorso da piemontese, fra me e me o un discorso fra gente dell’entroterra e gente di mare, uno scontro di paesaggi. Genova maliarda, è vero, perché per noi gente di campagna è un mondo ammaliatore che si apre e ti fa sognare. è stata invece una canzone ben compresa perlomeno dal mio pubblico e ha segnato la mia storia.»

(Da Ernesto Capasso, Paolo Conte il viaggiatore dei viaggi cantati, Arcana 2013, p. 107)

C’è però da aggiungere che Genova per noi è una vera e propria anomalia nella produzione dell’“avvocato canterino”, in quanto le parole sono anteriori alla musica, mentre in tutte le altre sue canzoni avviene il contrario: la musica nasce per prima e detta spazi e ritmi alle parole. Come avrà modo di ripetere nel corso degli anni, lui è disposto a sacrificare una bella trovata verbale se non si incastra perfettamente nel ritmo, non il contrario. In altri termini Genova per noi è nata come una poesia e, in quanto tale, merita un’analisi ravvicinata al testo. 

Ma quella faccia un po’ così

Quell’espressione un po’ così

Che abbiamo noi prima d’andare a Genova

E ogni volta ci chiediamo

Se quel posto dove andiamo

Non c’inghiotte, e non torniamo più

Eppur parenti siamo un po’

Di quella gente che c’è là

Che come noi è forse un po’ selvatica

Ma la paura che ci fa quel mare scuro

Che si muove anche di notte

Non sta fermo mai

Genova per noi

Che stiamo in fondo alla campagna

E abbiamo il sole in piazza rare volte

E il resto è pioggia che ci bagna

Genova, dicevo, e un’idea come un’altra

Quella faccia un po’ così

Quell’espressione un po’ così

Che abbiamo noi

Mentre guardiamo Genova

Come ogni volta l’annusiamo

E circospetti ci muoviamo

Un po’ randagi ci sentiamo noi

Macaia, scimmia di luce e di follia

Foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia

E intanto, nell’ombra dei loro armadi

Tengono lini, e vecchie lavande

Lasciaci, tornare ai nostri temporali

Genova, a i giorni tutti uguali

In un’immobile campagna

Con la pioggia che ci bagna

E i gamberoni rossi sono un sogno

E il sole è un lampo giallo al parabreeze

Ma quella faccia un po’ così

Quell’espressione un po’ così

Che abbiamo noi

Che abbiamo visto Genova

I “noi” non meglio precisati sono giovani provinciali che vivono in campagna e che, per evadere, fanno ogni tanto una scappata a Genova, città geograficamente vicina (date le origini di Paolo Conte si pensa subito al territorio astigiano) ma totalmente diversa dal loro luogo natìo, dove tutto è fermo, uggioso, “immobile”.

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