La storia emigrante

Inaugurato il MEI, Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana

di Pabla Guida

Inaugurato lo scorso maggio il Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana, fortemente voluto a partire dal 2015 dall’allora Ministro della Cultura Dario Franceschini, che chiese a Regione Liguria e al Comune di Genova di raccogliere l’eredità dell’omonimo museo che aveva debuttato nel 2009 a Roma, nel contesto del Vittoriano come “sede provvisoria”.

La scelta della città di Genova come sede nazionale ne sottolinea la sua storia di porto di partenza di un flusso importante di emigrati. Anche la destinazione della Commenda di San Giovanni di Pré a sede museale deriva dalla sua realtà storica e urbanistica: il quartiere che si estende dietro il porto, da piazza Banchi alla Stazione Principe e da questa a Ponte dei Mille, aveva un “cuore” nella piccola piazza della Commenda, di fronte all’Ospitale costruito a partire dal 1180 dai Cavalieri di San Giovanni, più noti poi con il nome di Cavalieri di Malta. Luogo di appuntamento degli emigranti, l’antico edificio era stato poi albergo, farmacia, osteria, e soprattutto testimone silenzioso di generazioni di migranti. Emigranti per le Americhe, per le destinazioni oltreoceano ma poi, nel Novecento, il “quartiere dei marinai” era cambiato: era diventato asilo per le migrazioni interne e infine per l’immigrazione da paesi lontani che, a partire dai primi anni Settanta, aveva iniziato a fare anche dell’Italia una destinazione d’arrivo.

Scegliere la Commenda come sede di un Museo delle migrazioni è stata una sfida. Il Museo nasceva, sin dal suo concept originario, come museo “senza collezioni”. Senza oggetti, la sfida è stata quella di creare un allestimento essenzialmente multimediale: far convivere nello stesso spazio la complessità di un’architettura medievale originale, con interventi di epoche successive, e un insieme di installazioni che si rivelassero avvolgenti ed efficaci.

Senza una collezione storica “propria”, il nuovo museo è inoltre il frutto di un’operazione di memoria collettiva partecipata. Vuole porsi come elemento di raccordo delle varie realtà che si occupano di emigrazione e si propone come strumento di visibilità, dialogo e collaborazione tra centri studio, musei internazionali e associazioni di italiani nel mondo, e i tanti musei dedicati a questo tema che esistono in Italia, spesso nati dalla volontà di chi è restato o di chi è tornato in un luogo magari povero, magari impervio, che con costanza ha deciso di non dimenticare e di passare il testimone della memoria alle generazioni successive. Accanto ai musei hanno cercato, e la lunghissima lista delle collaborazioni in Italia e all’estero ne è testimone, di trovare e valorizzare la memoria migratoria: archivi, centri di studio, associazioni di italiani nel mondo, che danno vita a iniziative episodiche oppure ormai irrobustite dal tempo, ma che dimostrano quanto l’emigrazione sia stata, in positivo e in negativo, un’esperienza fondamentale non solo a livello individuale ma anche a livello collettivo, nazionale, incisa profondamente nella costruzione di nuove identità e carattere inscindibile della storia del nostro paese.

La scelta digitale e multimediale vuole così valorizzare il patrimonio diffuso tra musei regionali, musei internazionali, archivi, enti di ricerca, creando collaborazioni senza privare nessuno delle testimonianze materiali conservate.

Due concetti fondamentali: l’immedesimazione del visitatore e le fonti biografiche e autobiografiche come tassello principale della narrazione. Per favorire l’immedesimazione ogni visitatore è invitato a creare il proprio passaporto (pur nella consapevolezza che tanta parte delle migrazioni avveniva e avviene senza documenti).

Si va dalle migrazioni preunitarie, per introdurre il tema della mobilità umana prima della nascita dei confini e del concetto di nazione, alle grandi ondate migratorie della fine dell’Ottocento, fino ai nostri giorni, con un’attenzione particolare alla declinazione dell’esperienza migratoria anche al femminile, aspetto questo ignorato per secoli. Ritratti di persone realmente partite, in diversi periodi storici ma anche la ricostruzione scenica e attoriale di storie tratte da documentazioni originali, analisi sulle condizioni di vita in Italia, sulle motivazioni della partenza, sul trattamento dei migranti. 

Il primo piano è il cuore del museo: aree con testimonianze biografiche e autobiografiche che raccontano le diverse mete di destinazione e le possibilità di crescita nei paesi di arrivo. Un grande planisfero ospita postazioni multimediali di archivio dove si possono “sfogliare” vite che hanno raggiunto ogni angolo del mondo spinte dalla ricerca del lavoro. Un’area è dedicata alle migrazioni derivate da fenomeni politici, militari, religiosi e sentimentali.

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