NONO EPISODIO

Aveva davanti a sé quello che restava della sua vita, spogliata di ogni orpello o comfort. Un pavimento saltato, mattonelle che disordinatamente lo circondavano, lui, il lavoro andato, i soldi pure e l’amara coscienza di aver chiesto poco e di non aver ricevuto neanche quello.

Pensò alla sua giovinezza. Alle ipotesi che ogni giovane rivendica col volto stesso della giovinezza che porta, ogni lavoro sembrava possibile, una casa col giardino, un cane e dei figli sembravano un’umile prospettiva, alla portata di chiunque, un lavoretto da poco… Eppure il tempo aveva via via accorciato i sogni, col passare degli anni i figli diventavano uno, poi zero, via il giardino, via la moglie, solo lui…

Gregorio venne al mondo dal nulla, suo padre era un brav’uomo ma non ebbe la pazienza o la premura di spiegare a Gregorio la vita, di guidarlo. Gli voleva bene certo, ma lui a sua volta non fu mai educato a parlare. La madre morì di una malattia al fegato pochi mesi dopo la comunione di Gregorio, da lì crebbe nel silenzio.

Gregorio, per tutta la vita, non fece altro che difendersi dalla libertà, era solo un ragazzo che voleva conoscere e poi accettare dei doveri, e cullarsi nella forza della sua accettazione. Il lavoro, giusto poiché sofferto e duro perché duro, fu la più grande compagnia che ebbe, un amico che poteva guardare da pari a pari, in qualche modo riusciva a trovare della grazia in quest’obbedienza.

Adesso il lavoro non c’era più, mancava la stanchezza che concilia il riposo, l’essere padrone di un gesto semplice e ripetuto, mancavano gli occhi delle donne sui pantaloni sporchi di calce, sulle mani gonfie che stringono i pali della metro.

La radice cresceva a vista d’occhio, aveva rotto la terra nera che la opprimeva, un cerchio di luce la illuminava come un occhio di bue da teatro, qualcosa di nuovo stava venendo fuori, un nuovo io si stava affermando nella casa quanto nel cuore di Gregorio, ma lui, non aveva un grande confidenza con la novità.

La prima cosa da fare era coprire la radice, mancavano cemento, malta e soldi. Idea: il cantiere.

Era molto raro vedere il capo di buon mattino al cantiere e per questo aveva lasciato le chiavi a tutti gli operai e Gregorio ne aveva una.

Arrivò  alla cancellata del cantiere, con le scarpe immerse in un fango di un marrone chiaro, aprì il lucchetto e si diresse subito al capanno dove tenevano i materiali. Prese cinque sacchi di cemento, un piccone, della malta, un bel fascio di assi di legno e li posizionò di fianco al furgone della ditta. Sfondò la porta dell’ufficio del capo con un solo calcio, quel rumore ruppe il silenzio che c’era lì intorno, capovolse i cassetti vicino la scrivania penne, graffette fogli su fogli e poi finalmente: Volkswagen (auto per il popolo), si concesse ancora qualche secondo per ribaltare la scrivania e fracassare la cornice della foto del capo con moglie e figlia, caricò il furgone, aprendo il portabagagli si rese conto per un attimo di quello che stava facendo, era accecato dal rancore e dalla comodità che quel furgone emanava. Non c’era altra scelta, prenderlo,  scaricarlo e magari venderlo a qualcuno sotto casa, per due, tremila euro,  gli sarebbero bastati, il tempo di cercare un altro lavoro.

Andò a prendere il lucchetto del cancello e lo scaraventò più lontano che poteva nel prato di fianco, questo avrebbe allontanato, anche se di poco, i sospetti su di lui. Partì, uscendo urtò violentemente l’anta del cancello, ciò produsse un frastuono che probabilmente ha richiamato l’attenzione delle case popolari nei dintorni, i giri del motore, le ruote, il fango Gregorio proseguiva nel furore della sua necessità, della giustizia che stava attuando.

Uscì dal cantiere ed entrò nel traffico, con il mento quasi appoggiato al volante Gregorio scrutava la strada per controllare se ci fosse qualche pattuglia. Accese la radio, Toto-Africa. Imbocca una strada semideserta solo il furgone, lui e qualche macchina parcheggiata, proseguendo per due chilometri sarebbe arrivato a casa.

Luci blu.

Si presenta al finestrino un tizio sulla quarantina, divisa stivaletti, con l’espressione di chi ha appena morso un limone acerbo senza togliere neanche la buccia.

La domanda arrivò automatica come la pioggia a pasquetta:

«Documenti».

«Sì certo ecco».

Gregorio tira un sospiro, mai come in quel momento ha pregato che il capo fosse apposto con i documenti, aprì ogni sportello possibile. Ingannava l’attesa del poliziotto e copriva i suoni dovuti alla sua ricerca con frasi di circostanza.

«Eh guardi quando servono i documenti non escono mai, eheh».

«Veda di trovarli».

Severo, forse sospettoso, sicuramente rompicoglioni già di suo».

«Sì sì certo».

Cartellina gialla, grazie a Dio

«Ecco a lei di solito li metto tutti qui, non so se manca qualcosa».

Inarcò le labbra come a dire “mah, mi dica lei se è normale”

«Resti qui che controlliamo».

«Certo, certo».

«La mascherina?»

«Ma sono solo qui nel furgone serve anche così?»

«Allora se lei parla con me non è che è solo o sbaglio? Se gliela chiedo vuol dire che serve!»

«Ah sì sì certo, un attimo solo».

«Bingo! mascherina FFO2 top di gamma, Covid o non Covid le mascherine si trovano sempre».

«Ecco qua».

Fiero come un leone con la mascherina che gli copriva un leggero sorriso,

«Patente».

«Ecco a lei!».

Il tizio si allontanò, Gregorio si sentì una creatura data dall’unione di James Bond e Mandrake, cominciò a picchiettare con i pollici sul volante. “GIAST LAIK DE REIN DAN IN AFRICAAAAA. PPA PPA PPA PPA RA PPA PPAA”.

«Gregorio Gaetano Quaranta. Il veicolo non risulta intestato a lei».

«Sì in effetti è del mio capo. Stavo solo scaricando del materiale, sa dobbiamo rifare un pavimento».

«Ma lei sa che non si può lavorare adesso?»

«Eh lo dica al mio capo».

«Eh sarebbe meglio chiamarlo in effetti».

«No guardi lasci stare, mi mette nei casini con lui».

«Ma lui sa che lei ha il furgone?»

«Certo che lo sa».

«E allora perché non vuole che lo chiamiamo?»

In quel momento Gregorio fu tentato di premere l’acceleratore e partire, l’adrenalina era scesa tutta insieme di fronte a quel dettaglio che non aveva calcolato. Ma per andare dove?

«Qua i problemi sono due: se il furgone è del suo capo e la fa lavorare è nei casini lui, se questo fantomatico capo non esiste o non sa che lei ha preso il furgone… non serve neanche che glielo spiego»

«Il collega scende e si avvicina al furgone».

«L’autocertificazione ce l’ha?»

«Eh l’ho dimenticata scusi»

«Allora dobbiamo fare la multa. E deve seguirci in caserma»

“Bastardo di un Covid” pensò Gregorio.

Spense la radio.