Baciami, stupido!

Di Patrizia Molteni

Il bacio, un gesto del prima e del dopo, perché i “gesti barriera” prevedono di evitare persino la bise cara ai francesi. Gianni Carino l’ha messo in copertina, il famoso bacio di Hayez, rigorosamente mascherato per l’occasione – e Marino Niola ci regala una bellissima recensione del volume di Valeria Arnaldi dedicato al Bacio (Ultra edizioni).

E se parlare del prima è molto facile, magari struggente, parlare del presente pone una serie di problemi: chi siamo noi per parlare di virus? Se anche gli scientifici hanno posizioni diverse a quali diamo spazio? Per fortuna per noi non si è mai posto il problema dell’attualità, piuttosto quell’air du temps che ci tiene ancorati alla realtà, ma vista da fuori, come recita da sempre il sottotitolo di Focus in. Et voilà che la nostra prospettiva è cambiata: casomai la realtà la stiamo vedendo da dentro, confinati nelle nostre case. E poi un concetto di dentro che è sdoppiato: siamo confinati in un paese che non ha le stesse idee di isolamento, di cura, di informazione del nostro. A volte sembra di vivere in Italia a scoppio ritardato: quello che succede in Italia (numeri dei contaminati, picco, soluzioni) è quasi sicuro che succeda in Francia un paio di settimane dopo. Così, spesso, per non sbagliare, applichiamo tutte le regole, quelle italiane e quelle francesi, magari pure qualche straniera, un po’ come fare collezione di superstizioni, non si mai che qualcosa ci porti male a nostra insaputa.

Quando con Francesco Forlani abbiamo deciso il tema della pandemia si cominciava appena a parlare del virus “cinese”, prima di scoprire che il coronavirus non è di nessuno, cioè è di tutti. Volevamo contrapporre all’idea negativa del contagio infettivo, quella positiva dei casi in cui la contaminazione nutre la cultura. Ce ne parlano Fabio Barbero attraverso il libro di Micaela Bonavia, Gaber-Brel. Dialogo, e la traduttrice e traduttologa Chiara Montini, intervistata da Serena Rispoli.

Poi mano mano che il Covid avanzava abbiamo sentito la necessità di aggiungere altri elementi. Innanzitutto il discorso scientifico, ma soprattutto come interpretare il linguaggio degli addetti ai lavori e come fare perché loro possano esprimersi in modo da farsi capire dal cittadino qualunque. Ce lo spiega Laura Surace, fondatrice di una società che si occupa proprio di comunicazione scientifica, e – quasi a dimostrazione che è possibile – ce lo spiega in termini molto chiari Giovanni Maga, virologo, primo ricercatore al CNR. A questi scienziati abbiamo aggiunto un semiotico, Paolo Fabbri, anche ex-direttore dell’Istituto di Cultura di Parigi, che si è occupato di rumors, le dicerie, le voci, cose che non si sa dove siano nate e che improvvisamente si spandono come virus e cambiano i comportamenti delle persone. Fabbri ci parla anche della militarizzazione del linguaggio: Macron nel suo primo discorso alla nazione, ha scandito il ritmo con la frase “Nous sommes en guerre”. Regolarmente politici e non parlano del virus come di un “nemico” da “sconfiggere”. Non è una guerra, lo ripete chi la guerra l’ha vissuta davvero. Non è una guerra anche solo perché il cosiddetto nemico non gira armato fino ai denti in carri armati, non ci punta addosso cannoni, non ci bombarda. E’ invisibile.

Non potendo “combatterlo” a viso scoperto, si cercano le colpe. Non è una guerra, non è neanche una delle tante pestilenze che hanno decimato il mondo. Ma il meccanismo di ricerca delle colpe, come spiega Sergio Givone (autore di Metafisica dell’epidemia), è sempre quello. In particolare nel capitolo “Quando contagioso è il linguaggio”, citato da Fortunato Tramuta, Givone si sofferma sul concetto di “colpa”: “Se il capo d’imputazione è comune a tutti i membri del corpo sociale, imputabile è la persona e soltanto la persona singola. Dunque la colpa non è mai di tutti. Però tutti possono essere colpevoli…”.

Ritornano a galla, per fortuna in forma molto leggera, comportamenti come la delazione e la denuncia. Oppure accuse agli altri stati: sui social italiani, per esempio, sono girati vari messaggi anti-tedeschi, tra i quali la video-accusa di Tullio Solenghi che rinfaccia ai tedeschi le guerre, Hitler e persino di aver cancellato – noi, i “buoni” – il loro debito pubblico nel 1953. Gigi Borruso, alias Felice Schimbescio, stavolta non scherza nel suo sfogo “A proposito del video di Solenghi e altro…”.

Utile infine vedere come il cinema ha nutrito gli immaginari epidemici, con tanto di odio e delazione, negli articoli di Alfonso Pinto e Valentino N. Misino. quest’ultimo aggiunge un nuovo scenario: quello dei video fatti in casa che popolano i social in questo periodo di pandemia e che magari diventeranno un “altro cinema”, “tra meme e video-journal della quarantena”.

Accompagna questo primo piano il racconto fotografico di Matteo Basilé, da un progetto intitolato Unseen (che con l’invisibilità ci sta a pennello) in cui, come scrive Forlani “Tecnologia e mito, individuo e universale, luce e ombra, per realizzare, come ci ha rivelato immagini intime attraverso l’uso di un mezzo globale”.

SOMMARIO 

Maga, Il virologo risponde, di Patrizia Molteni

Ditelo a parole nostre, di Patrizia Molteni

Givone, Metafisica della Peste, di Fortunato Tramuta

Bacio, sembra facile, di Marino Niola

Dialogo con Paolo Fabbri, di Federico Montanari

Immaginari cinematografici dell’Epidemia, di Alfonso Pinto

La febbre del cinema, di Valentino N. Misino

Gaber-Brel. Dialogodi Fabio Barbero  

Traduzioni pericolose, di Serena Rispoli                    

A proposito del video  di Solenghi e altro…, di Gigi Borruso 

Ritraggo ma non ritratto, di Francesco Forlani