TRENTUNESIMO EPISODIO

Avanzarono, superando il prato e addentrandosi, lì dove l’erba diventava incolta, iniziarono le sagome contorte degli ulivi, danzatori dalle chiome nel vento, in lontananza, sopra uno di questi una sagoma con un libro aperto tra le mani, Simone il colono, giovane, sulla trentina, baffo scuro, occhio intelligente e furbo, dall’alto del ramo saltò giù ad accoglierli.

«Ciao Marco, m’era sembrato di aver sentito delle voci, ma non mi sono preoccupato, doveva essere per forza qualcuno di familiare»
«Lui è Gregorio, un fratello più che un amico, è venuto a vedere il casale per acquistarlo, lo porto a fare un giro della tenuta»

I due si salutarono, Simone aveva un dito in mezzo alle pagine del libro, Gregorio guardò la copertina, incuriosito dalle ultime lettere del titolo, Qohelèt o l’Ecclesiaste, il colono intanto, aveva preso a raccontare di un cinghiale, durante la notte, aveva calpestato una striscia d’insalate, forse per arrivare al ruscello a bere. Marco aveva portato un bicchiere anche per Simone, fecero un brindisi, in quella terra antica dal meriggio d’arancio. Marco fece da cicerone agreste all’amico che intanto pensava al libro. Andarono al vigneto passando per il resto dell’uliveto e per il pezzo coltivato a cereali, dove festose cornacchie banchettavano indisturbate in nel manto dorato.

Trascorsero mesi da quel giorno al casale, mesi in cui tutto ciò che Marco aveva preventivato s’avverò, vendette il casale, lo intestarono alla cooperativa, Simone, divenne una parte importante, sempre diviso tra varie incombenze, ma il suo dinamismo e la sua tenacia erano giusto quello che ci voleva, mentre Gregorio continuava ad andare in giro, a distribuire cibo e sostegno. Presentò il progetto Terra Nera a Bruno, al Dottore, al Francese, al sarto e agli amici degli amici che sempre più crescevano, andandosi diffondendo la storia del progetto Terra Nera. Ci furono donazioni da persone che, venute a conoscenza del progetto, vollero sostenerlo, questo fu un risvolto tanto inaspettato, quanto bello. Serve sempre quel poco per ricredersi, questo Greg lo sapeva, conosceva il meccanismo critico, aveva imparato. Ci furono giorni, in cui si ritrovò suo malgrado, a fare dei veri e propri comizi, iniziava, spiegando il progetto del casale a qualcuno nuovo, finiva per ritrovarsi a parlare a persone che trovavano forza dalle sue parole, aveva il potere di ricaricarle alla vita.

Gregorio era una persona semplice, un uomo che aveva vissuto e capito, aiutato sicuramente dalla sorte, non amava molto le mezze parole, era schietto, la verità gliela si leggeva negli occhi, nelle rughe d’espressione, nei sorrisi d’occhi e di labbra. Si diede molto da fare, a correre da una parte all’altra organizzando, accordandosi, invitando, fu così che si ritrovò circondato da tanti, per condividere e contribuire alla messa in opera del progetto Terra Nera. Chiamò vecchi amici, coinvolse Pigi, un amico ingegnere, descriverlo così, attraverso un titolo sarebbe riduttivo per una persona con un’intelligenza acuta come la sua e dai molteplici interessi, dalla passione per le cose fatte bene. Amici di vecchia data, negli ultimi periodi, causa confinamento e varie, non si erano incontrati, ma subito Gregorio aveva pensato a lui, dal primo giorno, l’ incontrò per un caffè, per raccontargli del casale, della volontà di fargli progettare delle vasche per la coltivazione di spirulina, un’alga altamente proteica. L’idea di Greg era quella di poter continuare con l’assistenza ai più deboli, nonostante la creazione della cooperativa, che avrebbe offerto posti di lavoro e prodotto dalla terra e dagli animali: formaggi, uova, frutta, olio, verdure, vino. Certamente avrebbe continuato a distribuirla in lungo e in largo, il casale non disponeva di posti infiniti, questo voleva dire insieme più cose: ci sarebbero state, molte persone escluse, dalla possibilità di avere un tetto fisso, non per il lavoro, la terra avrebbe ospitato molte braccia, differentemente, i più rimasti in strada, avrebbero avuto bisogno ancora della sua assistenza. Fu così, che pensò di coltivare quest’alga, un cucchiaio della sua polvere, sostituiva l’apporto proteico d’una bistecca, perché le verdure, la pasta, non bastavano a nutrire correttamente e tanti erano i denutriti in strada. Nelle donazioni c’era stato un pezzo di terra edificabile non lontano dal casale con i resti di un rudere, con Pigi e Marco avevano discusso l’idea di pensare al progetto per un altro casale, un’estensione di Terra Nera.

Una forza positiva aleggiava sugli addetti ai lavori, i permessi si ottenevano senza molti problemi e meccanismi burocratici, i lavori avanzavano spediti, il gruppo di lavoro era coeso, molti volontari si erano arruolati al cantiere, facendo si, che i lavori avanzassero più veloci del previsto. Su quel pezzo di terra della campagna romana, si parlavano lingue differenti, non c’erano solo italiani naturalmente, la miseria non ha nazioni, non ha appartenenze, non ha confini. Gregorio a turno andava sui due cantieri, dava l’esempio, non era diventato un capo, o meglio, non abusava del ruolo, gestendolo con grande rispetto, conosceva le sue responsabilità, i suoi doveri, sapeva esser duro all’occorrenza, non sopportava l’ingiustizia. Accordare i futuri abitanti di terra Nera, non era cosa facile, ci sarebbe voluto tempo, impegno, lavoro, dedizione, coerenza, esempio appunto.
Marco, Pigi, Simone, Gabriele, instancabili coordinavano i lavori  e partecipavano alla costruzione del nuovo casale e degli appartamenti nel vecchio, si costruirono canali, si portò l’acqua lì dove non arrivava, si gioiva per poco. Veder nascere le cose fatte con le proprie mani, inorgogliva i cuori e rinfrancava i corpi stanchi. Ciò che era riuscito a costruire Gregorio, fu un sogno condiviso e sostenuto, un modello esportabile, alcuni giornali s’occuparono della vicenda, ne parlarono anche in televisione, molti amarono Gregorio seppure non lo conoscessero, credevano in ciò che stava facendo, apprezzavano forse il coraggio dimostrato, non comune, di condividere un sogno, un’idea.

Greg si organizzò col gruppo per trasportare la terra  e i due alberi, dall’appartamento al casale, avrebbe avuto bisogno di almeno tre giorni per svuotare il salotto, racimolare i pochi effetti posseduti e abbandonare finalmente l’appartamento del capo, avrebbe chiuso col passato definitivamente. Così fece, attese il giovedì sera per tornare al vecchio condominio, fu triste, s’era già abituato alla comunità, seppure fosse già tornato per il raccolto e per il pappagallo. Entrare in quello scatolone di cemento dalle tante finestre, non fu una bella sensazione, si sentì schiacciato da tutti quei piani, da tutte quelle vite, da quell’apparente educazione del buongiorno, del salve e del buonasera. Si ascoltavano le voci venire da sotto le porte e amplificarsi per le scale, questo gli piaceva, sin da bambino, come quando guardava nelle finestre, dall’auto in viaggio sull’autostrada, quante volte aveva giocato ad immaginare le vite nelle case, al di là delle finestre illuminate.

Come d’abitudine, s’immerse scendendo a -1, tirò le chiavi dalla tasca, colpì col gomito l’interruttore della luce, allineò lo zerbino con la punta della scarpa infangata, diede tre mandate all’indietro e tonf, il saluto del piccolo frigo. Percorse il corridoio diretto verso la stanza alberata, Gennarino fece festa, andò canterino per ogni angolo della stanza poi si fermava su un ramo, lisciava qualche penna e ripartiva, fino a quando si posò sulla spalla dell’amico,”che Gennarì ti so mancato eh? Lunedì ce ne‘nnamo alla nuova casa, ti troverai bene nun te preoccupà, già te vedo a svolazzà pe’i campi”. Gli parlava dolcemente, grattandolo con l’indice sulla piccola testa, Gennarino la ruotava, lentamente, l’accasciava un po’verso Gregorio, per poi cambiare direzione.

Si guardò intorno, era felice, gli occhi si colmavano di soddisfazione nel vedere cresciute le verdure, il mandarino e la piccola alcova ospitata dalla sua mano legnosa, dai frutti profumati e porosi, l’albicocco sorrideva nel suo arancio scoccato di rosso, “siete un prodigio”, esclamò strappando un frutto dal ramo, “con il colore del tramonto, ma cresciuti con un raggio sbilenco di luce”. Affondò gli incisivi nella polpa, “mhhhh, mhhhhh, ‘mmazza che‘bbona”, un capolavoro, un vero e proprio miracolo. Il mandarino, le more, le fragole, iniziò una vera e propria scorpacciata, estasi da sapori, s’arrampicò sull’albero con una ciotola riempita da un veloce e ricco raccolto. Seduto, gambe penzoloni, continuò a divorarli, ancor più compiacendosi, per quella piccola porzione di terra, da cui tanto aveva preso, a cui molto doveva, tutto. Terminata l’abboffata, si preparò per andare a dormire, in attesa del nuovo intenso giorno di lavoro.

Iniziò il venerdì occupandosi del trasferimento della terra, s’era procurato dei sacchi per riporla e trasportarla comodamente, si sarebbero dovuti solo caricare sul furgone che lunedì sarebbe arrivato a prelevarlo con il resto delle cose. Pensò bene di proteggere la radice, iniziò ad impacchettarla per poi svuotare i lati della stanza. Scavò alacremente tutto il giorno, si fermò  giusto per poter mangiare un boccone e fumare una sigaretta all’aperto. Uscì, andò a farsi un panino dal Killer.

«Buongiorno Artù»
«Oh Gregorio, bello, come stai? Me so’preoccupato, nun te vedo da un casino de tempo, tutto   bene?!»
«È vero, so’ stato un po’impegnato nell’urtimo periodo. Ma sto bene, tu, piuttosto, che dici?»
«Nun ce lamentamo, storto morto so’riuscito a tirà avanti, ce stanno botteghai che dalla sera alla mattina non hanno rialzato più a’saracinesca. Che posso dì, me devo stà solo zitto e ringrazià che me sta’ndà bbene!»
«Eh si, direi! Bravo Artù, nun ce lamentamo sempre, noi italiani poi, in questo siamo bravi, ce lamentamo ovunque, casa, strada, televisione! Senti, me sto a trasferì e so’passato a salutarti e a farmi un panino»
«A’ndò vai Gregò?»
«In campagna, a lavorare pe n’azienda agricola nova se chiama: Terra Nera
«Nun l’ho mai sentita!»
«Pe’forza, è nova t’ho detto!»
«Passace a salutà ogni tanto!»
«Stai sereno, passerò. C’ho fame Artù, me faresti uno dei tuoi super panini?»
«Che ce mettiamo? Tengo ‘na ricottina de bufala che è crema, guarda qua, senti, assaggia, tiè»
«Mhh ‘bbona e che ce possiamo mette vicino?»
«Tengo ‘na prelibatezza, stamattina me l’hanno portata, ciccioli di maiale, li conosci?‘Ssaggia, tiè»
«Me li ricordo, mia nonna li faceva sempre, quando le portavano il maiale fresco. Metti, metti pure, ce voglio pure un po’di pepe»
«Agli ordini, mo’ce pensa Arturo a prepararte un grande panino!»

Intanto Gregorio guardò intorno per vedere cosa potesse servirgli, prese due bottiglie di rosso e qualche pacco di pasta.

«Ecco qui il panino Gregò, che te do più?»
«Vorrei da a’mozzarella de bufala, ce stà?»
«Come ce stà? Guarda stà treccia, pare uscita mò dalla zizza della bufala, se scioglierà n’bocca, poi me dirai. Che più?»
«A posto così Artù, grazie. Può esse’che ce se rivede in‘sti giorni, rimango fino a lunedì. Artù stammi bene!»
«A presto Gregò!»

Con il panino stretto in mano e la busta della spesa nell’altra, andò a cercarsi un angolino per poter gustare il pranzo, vide un muretto al sole, andava benissimo, il tempo di veder passare il bus 75, poi il 115 e il panino era finito. Raccattò carte e cartacce, si spostò verso la fontanella, “che soddisfazione quando è fresca, co’stà arsura e sta cazzo di mascherina, nun se sopporta, mò ce fumiamo ‘na bella paglia lungo la strada de casa”. I passi di Gregorio incrociarono pochi altri passi, la città era semi-deserta, in pace. Arrivò a casa, senza perder tempo, si rimise a sottrarre e riporre terra, nel corridoio aveva stipato già una buona parte di sacchi, s’aiutava con una carriola, frutto della refurtiva del furgone. Trascorse l’intero fine settimana a compiere quell’impresa, facendo le consuete pause: bagno, cibo, letto. Il raccolto s’era accumulato, i piccioli flettevano i rami, ma Gregorio era intenzionato a terminare, avrebbe poi pensato al resto.